Un laureato impiega almeno un anno per trovare un lavoro, precario e da poco più di mille euro netti al mese: ma se il graduato in questione è donna e, peggio ancora, se ha ottenuto il suo titolo in un ateneo del Sud, i tempi per ottenere un posto dignitoso si allungano e la busta paga, al contrario, si intirizzisce. La — desolante — conferma arriva dal sedicesimo rapporto di Almalaurea, realizzato su 450 mila laureati dei 64 atenei del consorzio, che inquadra il futuro lavorativo di chi, dopo aver raggiunto il massimo livello di istruzione, si confronta col mondo del lavoro, uscendone spesso con le ossa rotte.
Anche se chi ha una laurea resta avvantaggiato rispetto a chi ha raggiunto solo il diploma di scuola media superiore, perché a 5 anni dal titolo solo l’8% dei laureati non lavora, il quadro generale è quello di «una sensibile, ulteriore frenata della capacità di assorbimento del mercato del lavoro». Nel dettaglio: tra i laureati di primo livello (laurea triennale, o breve), il tasso di occupazione è sceso di 4 punti solo nell’ultimo anno, di 16 se si confronta il dato con il 2008: a un anno dal titolo il 66% dei laureati brevi lavora o quantomeno svolge uno stage retribuito. Tra i colleghi magistrali la contrazione registrata è di due punti, e di 11 rispetto al 2008. Tra gli studenti che scelgono di proseguire con la laurea specialistica, infatti, lavorano in 70 su 100. Quelli che stanno messi peggio sono i magistrali a ciclo unico, per lo più studenti dei vecchi corsi di laurea: per loro il crollo è del 3% rispetto al rapporto dell’anno scorso, ma del 23% rispetto all’indagine 2008. E l’analisi delle caratteristiche del lavoro trovato è il segno delle difficoltà che i laureati post riforma hanno affrontato in questi ultimi anni. I contratti a tempo indeterminato hanno avuto un calo, rispetto all’indagine 2008, del 15% tra i triennali, dell’8% tra i magistrali, del 5% tra quelli a ciclo unico. E questi sono dati che rientrano nella media.
Anche se l’indagine non prende in considerazione alcuni atenei importanti — come la Statale di Milano o l’Università di Pisa — restituisce una frattura netta tra un Sud disarmato che arranca, dove i laureati stentano a trovare un’occupazione, e spesso si accontentano di lavoretti poco qualificanti, e un Nord avanzato, dove cominciare a lavorare, o anche frequentare un corso di formazione retribuito, è quasi scontato, e dove gli stipendi sono fino a 200 euro più alti. A parità di condizioni di partenza, chi si laurea all’Università di Reggio Calabria Mediterranea ha il 59% di possibilità di lavorare o di frequentare uno stage pagato, a tre anni dal titolo, percependo 1.045 euro al mese netti. Chi esce dallo Iulm di Milano nell’88,3% dei casi ha un’occupazione dopo tre anni, e la sua busta paga arriva a 1.251 euro. Il tasso di disoccupazione dei laureati così può oscillare dal 28% dell’università calabrese, passando per il 20,4% della II Università di Napoli e il 18,5% di Salerno per arrivare al 3,3% dell’ateneo di Milano S.Raffaele, senza disdegnare Genova (6,5%), Torino e Trieste (8,3%).
Un sistema a due velocità? «Non facciamoci ingannare dalle apparenze — spiega Andrea Cammelli, fondatore di Almalaurea —. Non è detto che gli atenei del Sud siano peggiori, è il sistema imprenditoriale del Sud che non funziona e fatica ad assorbire laureati. Al Nord il 3% dei laureati si sposta per andare all’estero, ma il 18% degli studenti del Sud emigra al Nord per lavoro. A fare la differenza è anche la specializzazione». Quindi, oltre al prestigio dell’ateneo, quando si sceglie il corso di laurea bisogna considerare che i laureati di Ingegneria e delle professioni sanitarie, nonché dei gruppi educazione fisica e scientifico, sono favoriti nella ricerca di lavoro rispetto ai colleghi dei percorsi giuridico-psicologico e geo-biologico. E poi: più giovani, quindi chi si laurea prima, e chi conosce inglese e tedesco, è più ricercato. Il resto, è fortuna.
Il Corriere della Sera 11.03.14