La prima cosa che balza all’occhio nel dibattito in corso sulle strategie per il rilancio della crescita del nostro Paese è che sin dall’inizio l’opzione della riduzione del carico fiscale è sembrata l’unica ad essere in campo. Non è nemmeno stata presa in considerazione la possibilità di un intervento pubblico diretto dal lato della spesa, capace di attivare consumi e investimenti.
Quindi senza quell’aleatorietà a cui sono invece sottoposte tutte le altre opzioni ancora oggetto di discussione. Si tratta di un autentico paradosso, visto che anche il Fondo monetario internazionale da tempo non perde occasione di ricordare come – almeno in periodi di crisi economica – gli effetti di un aumento della spesa sarebbero di gran lunga più espansivi di quelli che genererebbe una riduzione delle imposte di eguale ammontare. È evidente che le classi dirigenti italiane non si sono ancora emancipate dal paradigma culturale che ha dominato l’ultimo trentennio e che considerava sempre e comunque la manovra della spesa pubblica come una strada impercorribile, vedendo invece nella riduzione delle imposte l’unica via d’uscita ai problemi della bassa crescita e della carenza di posti di lavoro.
Preso atto con rammarico di questo ritardo culturale del nostro Paese e accertato che l’unica alternativa resta quindi quella fra riduzione dell’Irap sulle impre- se e dell’Irpef sui redditi più bassi, bisogna ammettere che quest’ultima si presenta come preferibile sia dal punto di vi- sta strettamente economico, sia sotto il profilo distributivo. Il taglio dell’Irap, infatti, avrebbe sul livello di occupazione gli stessi effetti trascurabili che hanno avuto tutti i precedenti incentivi e sconti fiscali concessi in varie forme alle imprese negli anni scorsi. L’esplosione del numero dei senza lavoro registrato a partire dal 2011 non sembra dipendere dal peso delle imposte, ma dal brusco calo del volume di attività determinato dal crollo della do- manda interna. La diminuzione dell’Irap, lungi dal tradursi in un aumento degli investimenti, si configurerebbe così in un aumento del risparmio delle imprese o, molto più probabilmente, verrebbe utilizzata per ridurre parzialmente l’esposizione debitoria verso le banche. Le ricadute sull’economia nel suo complesso sarebbero modeste e le risorse resterebbero per lo più confinate ai beneficiari del provvedimento.
Al contrario la riduzione dell’Irpef avrebbe effetti espansivi ben maggiori.
Concentrare l’intervento sui redditi più bassi permetterebbe infatti di aumentare il potere d’acquisto a una fascia di popolazione caratterizzata da una elevata pro- pensione al consumo. L’obiezione secondo cui buona parte dello sconto fiscale si tradurrebbe in un aumento dei beni importati con effetti negativi sulla bilancia commerciale è scarsamente fondata: è assai probabile che i pensionati con la mini- ma e i metalmeccanici con familiari a carico utilizzeranno gli 80 euro di sconto per comprare beni di prima necessità piuttosto che beni voluttuari di importazione come un’auto di alta gamma o una lavatrice all’ultimo grido.
Il taglio dell’Irpef avrà effetti sia di breve che di medio periodo. Nell’immediato il rilancio della domanda, generato dall’aumento dei consumi, permetterà alle imprese di rimettere a regime gli impianti finora utilizzati ben al di sotto del loro potenziale. Il rinnovato clima di fiducia consentirà poi ai nostri imprenditori di avviare un ciclo di investimenti capace di rimpiazzare lo stock di capitale ormai obsoleto che costituisce la principale causa del nostro gap di produttività nei con- fronti dei Paesi del centro e del Nord Europa. Questo ciclo virtuoso permetterà poi alle imprese di rientrare in maniera strutturale dalle proprie posizioni debitorie, rafforzando anche la solidità del nostro sistema bancario e finanziario.
Indirettamente il miglioramento della solvibilità degli intermediari determinerà un aumento dell’offerta di credito e una riduzione del costo di accesso al finanzia- mento da parte delle imprese stesse. La ripresa dell’occupazione, invece che il frutto di meri incentivi alle assunzioni sotto forma di sconti fiscali, sarebbe così garantita da un ben più solido processo di crescita economico trainato dalla domanda interna.
Le ricadute positive si avrebbero anche sul fronte redistributivo. Dopo anni di tagli alle prestazioni sociali, di blocchi ai salari e di inasprimento della pressione fiscale sui redditi dei lavoratori dipendenti, il taglio dell’Irpef rappresenterebbe la presa d’atto che solo attraverso una più equa redistribuzione della ricchezza e dei redditi sarà possibile uscire dalla crisi.
L’Unità 11.03.14