Caro direttore, le Soprintendenze fanno discutere, sono ottocentesche, a volte fanno perdere la pazienza; ma non vanno abolite, anzi vanno rafforzate (semmai a danno della burocrazia centrale del Ministero), sostenute e ammodernate. A volte fanno perdere la pazienza agli speculatori, e allora fanno bene. Altre volte fanno male, come quando hanno autorizzato un bruttissimo Museo della Città a Palazzo Pepoli a Bologna( nessuno ha fiatato!) o dicono dei no che solo un certo fondamentalismo giustifica, che non risolvono i problemi della Domus Aurea e di Pompei.
Delle Soprintendenze è lecito discutere, si può anche criticarle, perché i suoi funzionari, che sono i soldati della tutela e che vanno rispettati e ascoltati, non sono sacrosanti come i tribuni della plebe e sovente fanno qualche errore. Ma lo Stato non può assolutamente privarsene, per ragioni costituzionali, visto che la tutela del paesaggio e del patrimonio culturale è uno dei principi primi sui quali si basa la nostra Repubblica. Alcuni funzionari hanno una mentalità invecchiata, fanno ogni sorta di difficoltà, servono più le loro idee che i bisogni della società, sono rivolti alla conservazione, ma curano poco gestione, comunicazione e libertà della ricerca. È anche vero, però, che non hanno mezzi adeguati per agire e sovente fanno grandissimi sacrifici, sono mal pagati e molti sono passati alle Università, dove si sta forse un po’ meglio e si hanno meno doveri. Il loro compito è tartassato ogni giorno da complicazioni amministrative infinite, che seguono a fatica in labirinti normativi e quando sono giunti sfiniti alla meta, devono spesso ricominciare da capo perché le norme nel frattempo sono mutate.
Le Soprintendenze vanno innanzitutto ringiovanite, quasi tutti i funzionari stanno per andare in pensione. Ma al giorno d’oggi servono non soltanto specialisti nei vari campi (archeologia, storia dell’arte, antropologia, architettura, archivi, biblioteche, ecc.), bensì professionisti che sappiano anche collaborare in gruppi di lavoro, che sappiano comunicare chiaramente con il pubblico, che sappiano risolvere problemi, che abbiano competenze gestionali e informatiche, cioè che siano anche dei manager interessati all’innovazione. Il problema è che nessun governo elabora una strategia per il futuro del ministero per i beni culturali, che ora si trova in un disastro, dopo una serie di ministri che non hanno dato buona prova. Il difficile è essere creativi e innovare senza ricominciare ogni volta da capo, e soprattutto senza buttar via una tradizione gloriosa. Invece l’Italia è piena di talenti sfasciacarrozze, di radicali e ultraconservatori, che nulla muoverebbero, per cui continuiamo come rane a gracchiare nella palude. E invece bisogna agire, con fermezza avendo chiare missione e strategia.
Presidente Fai (Fondo Ambiente Italiano)
Concordo in pieno. Non ho mai pensato che le Soprintendenze debbano essere abolite. Ma piuttosto riformate e rinnovate per valorizzare ulteriormente il nostro patrimonio storico e artistico. (giovanni Valentini)
La Repubblica 10.03.14
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“Tutti i no delle soprintendenze che ostacolano i tesori d’Italia”, di GIOVANNI VALENTINI
Ma non c’è praticamente comune, provincia o regione d’Italia in cui qualche soprintendente non abbia impedito o quantomeno ritardato per anni la realizzazione di una piccola o grande opera, la ristrutturazione di un edificio storico, il restauro di un monumento o di un altro bene artistico e culturale.
È la paralisi della conservazione. Il blocco preventivo, la cautela della tutela. Con le migliori intenzioni contenute nei “pareri” e nelle “prescrizioni”, a volte per prudenza e a volte per paura di complicazioni giudiziarie, la burocrazia delle soprintendenze artistiche e archeologiche imbriglia il recupero e la valorizzazione del nostro patrimonio culturale, contribuendo così a congelare la modernizzazione; a paralizzare l’assetto urbanistico delle città; a bloccare anche i progetti più innovativi e rispettosi dell’ambiente o del paesaggio. E insomma a «incatenare» il Belpaese, per dirla con Matteo Renzi: l’inventario è smisurato e converrà magari approfondirlo anche con il contributo delle segnalazioni dei lettori.
Da sindaco di Firenze, città d’arte e cultura per antonomasia, il presidente del Consiglio s’è scontrato personalmente più volte con questa situazione. Prima la decisione di affittare Ponte Vecchio alla Ferrari per un party; poi la vendita del Circolo del Tennis delle Cascine alla società che lo gestisce, entrambe contestate dalla Soprintendenza; fino al progetto di recupero della Manifattura dei Tabacchi con le due torri da 45 metri: «Spieghino perché dire no a quello e dire sì al Palagiustizia di 74 metri!», sbottò allora l’ex sindaco. E dai tavolini all’aperto in piazza del Battistero, il contenzioso artisticoculturale è arrivato addirittura nel suo ufficio, a Palazzo Vecchio, intorno al dipinto murale
La battaglia di Anghiari di Leonardo nel Salone dei Cinquecento, su cui Renzi avrebbe voluto far eseguire alcuni sondaggi tecnici. «Le soprintendenze – ha detto allora il neopresidente del Consiglio – sono un potere monocratico che non risponde a nessuno, ma passa sopra a chi è eletto dai cittadini».
Appena nominato segretario del Pd, l’ex rottamatore ha avocato a sé il ruolo di responsabile della Cultura e ha rilanciato subito il suo cavallo di battaglia: «Abbiamo la cultura in mano a una struttura ottocentesca, non può più basarsi sul sistema delle soprintendenze ». La questione non è priva naturalmente di un riflesso economico.
Artribune, rivista di arte e cultura contemporanea, valuta addirittura nell’1,5 per cento del Pil il vantaggio che si potrebbe ricavare da una gestione più aperta e moderna del nostro patrimonio.
Troppo spesso, in realtà, le soprintendenze diventano fattori di conservazione e protezionismo in senso stretto: cioè di freno e ostacolo allo sviluppo, alla crescita del turismo e dell’economia. Oppure, in qualche caso, anche centri di potere personale. La Penisola è piena purtroppo di sfregi alla sua bellezza, al suo patrimonio e al suo paesaggio; ma anche di opere bloccate o incompiute, a causa di ritardi, pastoie e lungaggini burocratiche.
Il fatto è che, come spiega chi conosce bene i meandri del ministero dei Beni culturali, si tratta di una categoria di funzionari dello Stato fortemente politicizzata, composta generalmente da persone anziane, a fine carriera e quindi demotivate. Una struttura capillare, articolata su base provinciale in tutto il territorio nazionale, come le prefetture. Equiparati a ufficiali di Pubblica sicurezza, nell’esercizio delle loro funzioni i soprintendenti possono anche denunciare i presunti trasgressori sul piano penale.
Oltre ai 24 dirigenti di prima fascia, suddivisi in 12 direttori regionali periferici e 12 addetti al ministero (guadagnano circa 6.000 euro al mese), i Soprintendenti sono in totale 157 dirigenti di seconda fascia e hanno uno stipendio tra i 3.000 e i 4.000 euro mensili: 28 amministrativi, 17 archeologi, 38 architetti, 31 archivisti, 18 bibliotecari, 25 storici dell’arte. Sotto di loro, troviamo poi i funzionari (1.500-1.800 euro al mese) che esprimono i loro pareri sui vari progetti e di fatto esercitano un potere di veto, bloccando i lavori che a loro giudizio possono compromettere la tutela dei beni artistici o del paesaggio.
Non manca, tuttavia, qualche esempio di best practice.
Proprio per rendere più snello e trasparente il processo delle autorizzazioni, la Regione Puglia – la prima a dotarsi di un Piano paesaggistico regionale, dopo quello della Sardegna che però era limitato alle coste – ha messo in rete un Sistema informatico integrato e condiviso (Sit Puglia.con). È un vanto dell’Assessore al Territorio Angela Barbanente, vice-presidente della Giunta di Nichi Vendola. Dal 2011, le amministrazioni comunali si registrano sul sito e caricano le informazioni principali sui vari progetti e le varie proposte, comprese le particelle catastali: qualsiasi cittadino può accedere a questa banca dati, controllare lo stato di avanzamento di una pratica e, in forza della trasparenza, confrontare i pareri e le autorizzazioni per verificare eventuali disparità di trattamento. Ma tutto ciò non è stato ancora sufficiente per sbloccare una serie di progetti turistici, tra cui quello per la ristrutturazione della vecchia Colonia marina costruita 70 anni fa dal fascismo a Santa Maria di Leuca o quello per il nuovo porto di Otranto.
Toccherà ora al nuovo ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, affrontare il nodo delle soprintendenze. Quando prese il posto di Walter Veltroni alla guida del Pd come “reggente”, Renzi lo definì ironicamente «il vice-disastro ». Ma oggi, a cominciare dal sito di Pompei sottoposto alla stessa Soprintendenza archeologica di Ercolano e Stabia, è proprio a lui che viene affidato il compito di fermare il disastro artistico e culturale del Paese per riscoprire e valorizzare la nostra Grande Bellezza.
La Repubblica 09.03.14