Il dibattito sulle critiche della Commissione Europea all’Italia non ha tenuto conto di tutta la risposta delministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Nella stessa si legge, tra l’altro, che le imprese manifatturiere italiane hanno compresso i costi di produzione, i margini di profitto ed i prezzi, da un lato, e migliorato la qualità dei prodotti, dall’altro, in tal modo recuperando competitività e contribuendo al passaggio in surplus della bilancia commerciale. Infatti la stessa da un deficit di 30 miliardi nel 2010 e arrivata ad un surplus di 30 miliardi nel 2013. Ciò è stato determinante per spostare il saldo delle partite correnti da un insostenibile deficit del 3,5% del Pil ad un surplus dello 0,8 per cento.
Dunque è stata la competitività delle imprese esportatrici ad attenuare un po’ la pesante recessione italiana e questo nonostante i gravami fiscali, l’alto costo dell’energia, il peso della burocrazia. Se riducessimo questi oneri alla media dell’eurozona aumenterebbero molto la nostra competitività, crescita ed occupazione. E non solo tramite l’export ma anche per i maggiori investimenti, interni ed esteri, ossia per una crescita di iniziative imprenditoriali essenziali per aumentare produttività e posti di lavoro.
Perciò adesso che si ricomincia a parlare di alleggerimenti fiscali per rilanciare la crescita bisogna, data la scarsezza delle risorse, fare scelte selettive e di massima efficacia. Perchè purtroppo non è possibile una riduzione generalizzata della pressione fiscale malgrado abbia raggiunto il 43,8% del Pil che, depurato dall’evasione, porta al 56% sui contribuenti leali.
Per dare una spinta alla crescita, alla competitività e all’occupazione bisogna ridurre il cuneo fiscale e contributivo che arriva (incluse Irap, Tfr e trattenuta Inail) al 52,9% del costo del lavoro. Siamo molto sopra la media della Uem e quindi ha ragione la Commissione europea quando chiede da tempo di ridurlo. Per fare una scelta corretta consideriamo tra i molti due punti di riferimento.
Il primo è quanto fatto nel 2007 dal governo Prodi che tagliò il cuneo fiscale di 5 punti percentuali per 7,5 miliardi con una ripartizione del 60% sulle imprese e del 40% sul lavoro. Fu ridotta l’Irap sul costo del lavoro (ottima scelta anche per l’impropria natura di questa imposta) delle imprese e ridisegnata la curva Irpef per i lavoratori. Fu una operazione importante ma che ebbe un effetto molto limitato per i lavoratori dipendenti soprattutto perché fu distribuita su tutti i contribuenti in forza delle minori aliquote Irpef.
Oggi una misura analoga sull’Irpef sarebbe ancora meno efficace perché l’incremento della domanda interna per una riduzione delle aliquote spalmato su tutti verrebbe molto attenuato dalle scelte di risparmio precauzionale delle famiglie pressate dalle incertezze occupazionali.
Il secondo riferimento è uno studio di Confindustria, che risale a tempi non sospetti (marzo 2008) e che calcola diversi effetti di una riduzione del cuneo per 9 miliardi, cifra analoga a quella di cui si tratta oggi. Delle tre ipotesi fatte da Confindustria e cioè una riduzione del cuneo solo per i lavoratori o solo per le imprese o mista (con il 60% al lavoro e il 40% alle imprese), quella che produce i maggiori effetti espansivi su crescita e occupazione è quella concentrata sulla riduzione del costo per le imprese. L’effetto cumulato triennale sarebbe dello 0,92% del Pil, dell’1,15% dei consumi e dello 0,55% dell’occupazione. Viceversa, un taglio della stessa entità concentrato sulle famiglie avrebbe un impatto dimezzato.
Tuttavia a noi pare che una soluzione mista sarebbe oggi più condivisa. Ovviamente gli effetti crescono se l’importo totale della riduzione del cuneo aumenta e, a nostro avviso, se ci fosse una qualche correlazione degli sgravi per le imprese in termini di maggiore produttività congiunta ad occupazione, specie giovanile.
Il sole 24 Ore 09.03.14