Come medico delle donne e come sostenitore della scienza al femminile in Europa, credo sarebbe più corretto in futuro discutere di «quote azzurre». Per prendere posizione oggi nel dibattito sulla parità di genere nella legge elettorale, basterebbe infatti ispirarsi all’equilibrio biologico del Pianeta: l’umanità è composta per metà da donne e per metà da uomini, e dunque la «superiorità» del maschio è una costruzione squisitamente culturale, nata dalle condizioni di vita di secoli fa. O piuttosto una «distorsione», resa necessaria in società in cui la violenza e l’aggressività, tendenze legate al profilo ormonale maschile, avevano una funzione importante perché garantivano l’approvvigionamento del cibo – tramite la caccia e la conquista di territori – e la protezione della prole in comunità dedite principalmente alla guerra. Nelle società moderne tuttavia il quadro è capovolto: la violenza è un handicap, mentre valgono molto di più le capacità di ricomporre i conflitti tramite il dialogo, la comprensione e l’intuizione, che sono prerogative tipicamente femminili. Per questo penso che alle donne andrebbe riconosciuto un ruolo non solo paritario, ma addirittura superiore a quello dell’uomo, perché sono più adatte al mondo di oggi. Da qui la mia provocazione delle «quote azzurre». Ho molto riflettuto sui punti di forza femminili e ne ho raccolti dieci, che ho pubblicato nell’ultimo capitolo del libro «Dell’Amore e del Dolore delle Donne» (Einaudi, 2010). Il primo è di ordine biologico: con la procreazione, la donna ha nelle sue mani la sopravvivenza della specie umana. Senza contare che nei primi mesi di vita, i bambini sono esposti prima di tutto all’influenza materna, dunque il mondo dell’infanzia, che ci determina come adulti, è un mondo femminile. Il secondo è la capacità di unire il ruolo procreativo e materno con quello sociale e lavorativo: una delle conquiste sociali più recenti che non ha ancora espresso tutto il suo potenziale rivoluzionario. Il terzo è la resistenza al dolore e alla fatica. Potrei testimoniare con migliaia di storie, come le donne abbiano una capacità straordinaria di affrontare la malattia e il dolore psicologico e fisico.
Il quarto punto precedente è la motivazione. Così come per un motivo superiore (l’amore per i figli o per la vita stessa) una donna sopporta e supera tragedie profondissime, così per l’attaccamento ad una causa o un’idea è una lavoratrice instancabile, intelligente, tenace. Al quarto è legato il quinto punto che è il senso della giustizia. Già oggi metà dei nostri magistrati è donna e la maggior parte di loro si distingue per integrità e fermezza di giudizio. Il sesto punto è la tendenza all’armonia, che è in linea con il senso femminile per l’organizzazione e l’ordine, molto importante nelle attività gestionali. Il settimo è la maggior sensibilità soprattutto in senso artistico e culturale. Dico spesso che al cinema, a teatro, ai concerti, alle mostre troviamo soprattutto donne, mentre gli uomini riempiono gli stadi.
L’ottavo è la capacità di ragionamento e concentrazione. Al contrario di ciò che si è detto per secoli, la donna è più adatta alle attività scientifiche e di ricerca. Al Campus di ricerca biomolecolare dell’Istituto Europeo di Oncologia, metà del personale è donna e la produttività è straordinaria. Il nono punto è che le donne decidono meglio e più rapidamente nelle situazioni critiche. Cito ancora il mio campo: quando qualcuno si ammala in famiglia, anziani o bambini, è la donna che prende in mano la situazione. Il decimo, a cui ho già accennato è che la donna è portata alle soluzioni diplomatiche e la fine delle guerre è la condizione imprescindibile per il progresso civile. È ovvio che i punti di forza sono molto più di dieci e basta guardarsi intorno: alle nostre compagne, figlie, madri, colleghe per rendersi conto che, quote a parte, il futuro è donna.
La Stampa 09.03.14