Se chiediamo una legge elettorale che contenga norme per favorire la presenza femminile nelle istituzioni lo facciamo per una ragione politica generale e per un principio di civiltà che deve riguardare l’intero sistema politico. Le italiane meritano un 8 marzo di cambiamento, a partire dalla vita pubblica. L’8 marzo non può essere nel nostro paese una celebrazione retorica o una festa. Le statistiche ci raccontano puntuali della difficoltà delle donne italiane, delle vite precarie delle generazioni più giovani, delle disparità salariali, delle difficoltà di carriera, dell’impossibilita di tenere insieme famiglia e lavoro.
È di qualche giorno fa la ricerca Istat sul capitale umano che evidenzia come quello dello donne nel nostro paese valga la metà di quello maschile a causa delle massicce percentuali di disoccupazione. E l’istituto europeo per la parità di genere, colloca l’Italia al ventitreesimo posto su 27 paesi nella graduatoria delle pari opportunità tra uomini e donne.
Ma le donne italiane, la loro quotidianità, le loro speranze, le loro capacità sono anche il cuore di un progetto di rinascita per il paese. Io credo che sia anche questo il senso della composizione paritaria del nuovo esecutivo, che affida alle 8 ministre un messaggio di cambiamento. È un passaggio politico e simbolico, al quale dovremo dimostrare di saper corrispondere, affrontando le domande che le donne italiane pongono e che riguardano nel suo complesso la qualità della nostra democrazia ed una crescita economica e sociale diversa del paese.
Investire sul lavoro e su politiche di conciliazione, sulla rete del welfare, del sostegno all’infanzia e del lavoro di cura, su politiche di contrasto alla violenza, sul rilancio della scuola, cambia la vita delle donne e cambia la qualità delle relazioni sociali. Quando parliamo di democrazia paritaria parliamo di questo. Non di una quota rosa, non di un riflesso corporativo ma di una condizione essenziale per ricostruire il nostro sistema, cioè la partecipazione delle donne alla vita pubblica.
Il Pd ha assunto la democrazia paritaria come principio fondamentale della propria iniziativa politica e del proprio profilo identitario. Abbiamo definito norme dello statuto, regolamenti precisi ed abbiamo dato vita ad un organismo, la Conferenza delle democratiche, attivando una molteplicità di strumenti per ottenere gruppi parlamentari con una presenza equilibrata tra uomini e donne e gruppi dirigenti paritari. Ci siamo messi in ascolto ed in sintonia con un mondo femminile importante che chiede riconoscimento.
Dunque se chiediamo una legge elettorale che contenga norme per favorire la presenza femminile nelle istituzioni lo facciamo per una ragione politica generale e per un principio di civiltà che deve riguardare l’intero sistema politico e non può dipendere dalla scelta discrezionale di un singolo leader. Dobbiamo fare ancora molta strada per rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla piena partecipazione delle donne alla vita pubblica, che sono di tipo economico, sociale, culturale,e dobbiamo utilizzare tutti gli strumenti possibili, a partire da norme antidiscriminatorie che aiutino e sostengano il cambiamento. Senza doppia preferenza di genere qualche mese fa in Basilicata nessuna consigliera è stata eletta.
Il principio di eguaglianza sancito dalla nostra Costituzione negli articoli 3 e 51 deve essere sostenuto da misure specifiche che affermino una concezione sostanziale della parità. E se si assume il criterio delle liste bloccate, come nel testo, è inevitabile fissare regole che riguardano la collocazione in lista per rendere effettivo il principio di parità. Penso che questo cambiamento interessi tutti, anche e soprattutto gli uomini, ai quali in queste ore che ci separano dal voto sugli emendamenti che abbiamo presentato rivolgiamo un appello affinché sostengano una battaglia che riguarda la qualità delle nostra democrazia e la sua possibilità di includere idee, punti di vista capacità e competenze delle quali nessuno si può privare.
da Europa QUotidiano 08.03.14