La scrivania che fu di Quintino Sella non è stata ancora completamente sgomberata dalle ultime carte dell’ex ministro del Tesoro Fabrizio Saccomanni. Il cambio della guardia è ancora fresco. In altri tempi il passaggio di consegne si sarebbe svolto in un clima di segreta e composta sobrietà. Invece il ciclone della nuova politica Speedy Gonzales, a colpi di sms, veloce come la luce, che ha nel mirino burocrazie e vecchi riti, coinvolge anche le austere stanze del palazzo umbertino di Via Venti Settembre. Dove la consegna del silenzio è cosa d’altri tempi.
E’ bastata l’accusa del presidente del Consiglio Matteo Renzi al suo predecessore, e ormai aperto nemico, Enrico Letta di non averla raccontata giusta sui conti pubblici, a seguito dell’ennesimo schiaffo di Bruxelles all’Italia, che è arrivato il botto. Chiamato in causa, come massimo responsabile del bilancio dello Stato, l’ex direttore generale della Banca d’Italia e ministro dell’Economia, ha rotto tradizioni e consuetudini: dal suo smatphone ha spedito cinque tweet (a Enrico Letta, ma erga omnes) per difendersi: commenti «immotivati e incomprensibili», quelle della Commissione sono solo stime, sul debito non considerano che abbiamo pagato i crediti delle aziende e che ci siamo sobbarcati i costi del salvataggio della Grecia. Non una parola a Renzi, ma non c’è dubbio che la polemica è indirizzata a Bruxelles, ma viene recapitata a Palazzo Chigi.
«Manca solo un hashtag: “contipubblicichecasino”, commenta un vecchio esperto di bilancio dello stato ormai fuori ruolo. Del resto il ciclone ha investito anche gli ampi e felpati corridoi da dove, in passato, venivano lesinate parole e comunicati. Un esempio? Mario Canzio, già per anni potente Ragioniere dello Stato ha pensato bene, appena fuori, di mettere insieme il suo cv, come un neolaureato, e spedirlo in Parlamento: vuole diventare il numero uno del nuovo Ufficio parlamentare di bilancio.
E che di dire di Vincenzo Fortunato: per anni è stato il capo di gabinetto di tutti i ministri del Tesoro, di destra e sinistra: non passava emendamento prima che lui non avesse dato il semaforo verde. Oggi è sotto il fuoco i fila delle interrogazioni parlamentari.
Ha ragione Saccomanni o la Ue? Pier Carlo Padoan, tradisce imbarazzo e tenta di gettare acqua sul fuoco: il monito di Bruxelles, sostiene, è «severo ma condivisibile». Nelle stanze delle tecnocrazie che osservano la spesa pubblica ci si sente sotto accusa. Sotto gli stucchi che sovrastano i terminali che segnano lo spread ci si sfoga.
Certo nel prevedere una crescita dell’1 per cento si è peccato di ottimismo. Del resto lo ha detto due settimane fa anche la Corte dei Conti, che è pur sempre l’alta magistratura contabile dello Stato. Ma qualche attenuante c’è: solo a gennaio si è saputo che le stime dell’Fmi sul commercio internazionale erano più basse del previsto e che l’euro continuava a rafforzarsi. Con meno export come si fa a crescere? Forse l’errore è stato quello di attribuire all’operazione da 20 miliardi di pagamento dei debiti della pubblica amministrazione un effetto di crescita sul Pil di uno 0,7 per cento. Forse un po’ troppo.
Sul debito invece nessuno è disposto a cedere all’accusa. Ma se è stata proprio Bruxelles a chiederci di pagare i conti alle aziende creditrici dello Stato e a darci il via libera sulla contabilizzazione? Altrimenti invece che al 132,8 per cento saremmo in discesa di due punti, rispetto al 2013, a quota 125,8 per cento del Pil. Ma i capi di accusa si moltiplicano: ad esempio l’aver ceduto al vento anti-austerità e aver rinviato il pareggio di bilancio al 2017. Certo si sono sempre quei 200 emendamenti passati in Parlamento che hanno gonfiato di 7,6 miliardi al legge di Stabilità. Ma il ricatto delle sentinelle delle tasse sull’Imu, costato 4 miliardi, dove lo mettiamo?
La Repubblica 07.03.14