Centotrentaquattro donne uccise da uomini nel 2013, erano 129 nel 2012. Cresce il numero delle vittime di omicidi dovuti a motivi di genere (i cosiddetti «femmicidi », come li chiamano i centri antiviolenza italiani).E aumenta anche il numero dei bambini rimasti soli per aver perso la mamma, e spesso insieme il papà che l’ha uccisa, visto che otto volte su 10 l’assassino è proprio il loro padre. Una stima ne conta almeno 1.500, dal 2000.
Sono dati che fanno rabbrividire, ancor di più se li si associa a quelli fatti circolare due giorni fa dalla Ue che conta nove milioni di donne vittime di violenze. E che purtroppo non sono precisi, visto che ogni anno il numero viene elaborato sulla base di faticose ricerche che la Casa delle donne per non subire violenza di Bologna compie a partire dagli articoli usciti sulla stampa.
E proprio da questa constatazione emerge la «grave mancanza» del nostro paese:«Non ci sono informazioni approfondite sul femminicidio, ancora lasciate all’iniziativa della società civile, e non esiste un piano d’azione nazionale a contrasto della violenza di genere», denuncia il centro antiviolenza bolognese. Che scandisce una nuova preoccupazione: «Il governo Renzi non ha nemmeno attribuito la delega alle Pari opportunità e la nostra preoccupazione è enorme, anche perché temiamo che vada perso o si interrompa il lavoro che aveva iniziato il ministro precedente», fa sapere Angela Romanin.
Le donne però hanno immenso bisogno di aiuto: solo a Bologna quasi 800 si sono rivolte al centro antiviolenza bolognese nel 2013. I 3 rifugi segreti e i minialloggi “di transizione” ne hanno ospitate quasi 40.Maad un certo punto da lì devono uscire, affrontare la vita “vera” con tutte le difficoltà che conseguono. Perché nel frattempo spesso devono lasciare il lavoro, per scappare dal loro probabile assassino e si ritrovano vive sì, ma senza sapere come andare avanti. La ricerca elaborata dal centro bolognese rivela un altro dato importante: le donne scampate ad un tentato omicidio di genere sono un centinaio. Mogli o ex compagne di uomini che vogliono possederle, che le considerano oggetti di cui disporre, anche quando dicono di amarle. «Non esistono i femminicidi “passionali”, dobbiamo uscire da questo convincimento – scandisce Romanin – Non ha niente a che vedere con l’amore l’impeto che porta un uomo ad uccidere la sua compagna, neanche con la malattia: è senso del possesso e considerazione della donna come oggetto».
A confermare questa posizione anche l’omicidio di donne costrette a prostituirsi: 13 nel 2013, altro numero in crescita dal 2005 se si esclude il dato del 2012 quando ne sono state ammazzate 14. Anche in questo caso, spiegano dalla Casa delle donne, «la violenza di genere si esplica come strumento di affermazione del potere maschile, è espressione di un desiderio di controllo e possesso dell’uomo sulla donna, tanto nelle relazioni intime, quanto nell’ambito della prostituzione». Un fenomeno anche questo sottovalutato, e spesso relegato al livello di vendette legate alla criminalità organizzata. Altra “credenza” da sfatare, messa in luce dalla ricerca elaborata dal centro antiviolenza, quella legata alla nazionalità delle donne vittime di femminicidio: la prevalenza delle italiane è netta, sono il 67% del totale. Così come gli autori delle violenza non sono “gli stranieri” ma italiani, proprio perché gli omicidi avvengono all’interno del nucleo familiare. Lo stesso di cui sono vittime indirette quei 1.500 bambini le cui mamme sono state uccise, e che vivono una sofferenza atroce. Anche a loro è doveroso pensare, ribadiscono alla Casa delle donne: il progetto Daphne cerca di occuparsene. Ma ancora una volta a farlo non è il governo ma la società civile, il dipartimento di Psicologia dell’Università di Napoli con la coordinatrice Anna Costanza Baldry, consulente Onu.
L’Unità 07.03.14