Picchiate, minacciate, offese e violentate. In Europa non esistono isole felici per le donne e la parità dei sessi è un mito da sfatare a ogni latitudine. Una donna su tre nell’Unione Europea ha subito abusi fisici o psichici dall’età di 15 anni, percentuale che tradotta in numeri corrisponde a qualcosa come 62 milioni di cittadine europee. A sorpresa, il tasso di violenza si impenna a latitudini insospettabili, non nel profondo Sud come ci aspetteremmo, ma nel lontano Nord dove le donne hanno raggiunto da tempo un alto livello di occupazione: Danimarca (52% di abusi subiti), Finlandia (47%) e Svezia (46%). L’Olanda è al quarto posto con il 45%, seguita da Francia e Gran Bretagna, entrambe al 44%. L’Italia, dove pure le donne che lavorano sono a livelli imbarazzanti, si colloca con il 27% nel settore medio-basso della classifica delle violenze, ma non c’è da esultare.
Secondo gli esperti esiste un diverso livello di consapevolezza di quel che costituisce un abuso a seconda dei diversi Paesi e le italiane sono al terzo posto, in compagnia delle inglesi, a pensare che la violenza sia comune nel loro Paese. La fotografia impietosa è stata scattata dall’Agenzia europea per i diritti fondamentali (Fra) al termine di un’imponente indagine: intervistate 42mila donne di età compresa tra i 18 e 74 anni, 1550 per ognuno dei 28 stati membri.
POCA PREVENZIONE. Il risultato non lascia margini a facili ottimismi: al lavoro, in casa, in pubblico, perfino online, insomma in ogni sfera della loro vita le donne, vedono quotidianamente calpestati i loro diritti. In particolare, il 18% ha dichiarato di essere stata vittima di stalking dall’età di 15 anni, il 55% di essere stata molestata, spesso nei luoghi di lavoro, l’11% di avere ricevuto avance inappropriate su web.
Una donna su 10 ha subito una qualche forma di violenza da un adulto prima dei 15 anni, il 5% è stata vittima di stupro. Nel 22 per cento dei casi è stato il partner l’autore della violenza, spesso causata dal troppo alcol. Ma solo il 14 per cento ha denunciato alla polizia la violenza subita in casa, il 13% nel caso di abusi subiti da altri.
Fatti i dovuti conti questo significa che il 67% delle donne non ha mai sporto denuncia ed è un dato clamoroso. «Ciò che emerge è una situazione di abusi molto estesa che danneggia le vite di molte donne, ma è sistematicamente poco denunciata alle autorità», conferma il direttore dell’Agenzia, Morten Kjaerum.
E qui si arriva al nodo centrale della questione, quello che spiega la predominanza nella classifica nera delle violenze dalle donne di Paesi tradizionalmente ritenuti più rispettosi dei diritti femminili come quelli scandinavi a dispetto di altri come l’Italia dove le cronache ci regalano casi di femminicidio ogni pochi giorni. La responsabile del network di assistenza alle donne Roks a Stoccolma, ha detto che il dato della Svezia è dovuto al fatto che lì le donne sono molto più attente ai loro diritti legali e sanno come farsi aiutare. Ma nel complesso le donne vittime di abusi sono isolate e questo significa per lo più impotenza. Il 19 per cento delle intervistate sostiene che non saprebbe dove cercare aiuto in caso aggressione sessuale o fisica. Mentre gli effetti della violenza fisica e sessuale «possono essere duraturi e sedimentarsi pesantemente ». Dalla ricerca emerge che «oltre un quinto delle vittime di violenza sessuale ha avuto attacchi di panico, più di un terzo si è depressa e la metà ha avuto successivamente difficoltà nelle relazioni ». Urge che la politica introduca al più presto misure di prevenzione alla violenza contro le donne e in particolare si cominci a trattare la violenza domestica come una questione di interesse pubblico. Tra le prime cose da fare, secondo la Fra, è la ratifica della convenzione del Consiglio d’Europa. È la cosiddetta Convenzione di Istanbul che definisce la violenza contro le donne come una violazione dei diritti umani e stabilisce l’obbligo legale di agire contro il problema e perseguire gli aggressori. Anche se il documento è pronto dal 2011, solo tre paesi finora (Italia, Austria e Portogallo) lo hanno ratificato. Sarebbe un primo passo, altri riguardano un approccio che si concentri sulle vittime e sui loro diritti e una vigilanza attenta sul linguaggio usato nei mezzi di comunicazioni o nelle reti sociali.
L’Unità 06.03.14