Il decreto legge per il rientro dei capitali illegittimamente esportati, del quale è in corso la conversione, non contiene, come in un primo momento era stato indicato, la previsione del reato di autoriciclaggio riguardante l’autonoma configurazione dell’illecito compiuto da chi impiega i proventi derivanti dalla commissione di un reato, insomma l’autoreimpiego del denaro conseguito con un illecito. Ancorché sia impossibile parlare di un condono vero e proprio, innanzitutto perché il rientro dei capitali deve avvenire non in forma anonima, bensì nominativa, la voluntary disclosure, e previo pagamento di tutte le tasse evase nonché di determinate sanzioni pecuniarie scontate, la mancanza nella relativa normativa dell’introduzione del reato in questione è stata vista da qualcuno come una tenaglia che nasce monca. E si sono accentuate le critiche di coloro che hanno parlato di nuova sanatoria, dopo lo scudo fiscale di tremontiana fattura. Si fa ora l’ipotesi che l’introduzione della descritta fattispecie possa avvenire nell’ambito del «decreto sicurezza».
Negli ultimi approfondimenti dalla proposta sarebbe stato espunto l’autoreimpiego del denaro ottenuto con evasione fiscale, con un approccio che è stato definito soft dal momento che una diversa scelta avrebbe avuto «effetti deflagranti sul sistema del nero di imprese e professionisti», secondo quanto ha detto il procuratore aggiunto di Milano, Francesco Greco, presidente della Commissione ministeriale che ha elaborato il progetto concernente tale ipotesi delittuosa. Piuttosto che pensare ad altri veicoli legislativi, sarebbe, invece, opportuno valutare se cogliere la fase della riconversione del predetto decreto per introdurvi la nuova previsione, prima ancora che lo sviluppo delle discussioni arrivi a depotenziarne ulteriormente la struttura e i contenuti.
Il recente gravissimo episodio della “banca delle ‘ndrine” di Desio, smascherata da una importante operazione della Dda milanese e della polizia, rafforza l’esigenza dell’introduzione del reato di autoriciclaggio. Il gip, Simone Luerti, che ha autorizzato l’arresto di 34 persone, ha messo in evidenza come tutti i reati commessi da costoro erano finalizzati al riciclaggio, mentre il procuratore aggiunto di Milano, Ilda Boccassini, nel sottolineare il ruolo avuto dalle operazioni svolte agli sportelli postali presso i quali l’associazione a delinquere di stampo mafioso si provvedeva di ingenti somme, ha osservato come sia urgente un intervento del legislatore, considerata la trasformazione che Poste ha subìto in una sorta di banca. Questa vicenda suona un campanello di allarme che dovrebbe indurre a rivedere l’intera normativa di prevenzione e di contrasto del riciclaggio di danaro sporco: si deve arricchire di uno strumento fondamentale come la sanzionabilità dell’autoreimpiego di danaro che recherebbe con sé anche un significativo effetto di annuncio, ma ciò non basta. Intanto, all’esigenza più volte rappresentata, pure su queste colonne e in occasione del lancio della privatizzazione, di un chiarimento sulla missione di Poste e Bancoposta stante l’evoluzione dei compiti che ha proiettato questa Spa pubblica in attività bancarie, finanziarie e assicurative, mentre è passata in secondo piano l’operatività nei recapiti, si aggiunge la necessità giustamente prospettata dal procuratore aggiunto Boccassini di rafforzare l’azione di contrasto di attività illecite, il cui compimento, da parte di terzi, potrebbe trovare anche nelle conseguenze di un mandato non ben definito per la Spa il varco per strumentalizzarne, pure nell’inconsapevolezza dei dipendenti, l’operatività per finalità illegittime.
Ma poi, è l’intera materia dell’antiriciclaggio che andrebbe sottoposta a riflessione. Resta un perno la segnalazione delle operazioni sospette da parte delle banche e degli altri intermediari che vi sono tenuti, insieme con gli obblighi di identificazione e registrazione di tutte le operazioni eccedenti il limite di legge. Tuttavia, da un lato occorrerebbe sapere di più delle decine di migliaia di segnalazioni che vengono effettuate annualmente agli organi competenti e, dall’altro, chiedersi se proprio nella mole delle segnalazioni non si nasconda il virus della ininfluenza che, nell’affermativa, dovrebbe indurre a progettare misure integrative e selezioni delle segnalazioni stesse, alcune delle quali possono essere effettuate solo per il classico intento di discarico di responsabilità senza che esistano minimi elementi a fondamento. Sul versante della collaborazione attiva del sistema bancario e finanziario si può fare di più, sempre sulla base del principio che enunciò l’allora Governatore Carlo Azeglio Ciampi secondo il quale la dotazione di strutture organizzative e di procedure da parte degli intermediari per collaborare all’azione di prevenzione e di contrasto di questi illeciti deve essere intesa come investimento per la stabilità dell’intermediario, per poter competere in reputazione. Una convention per mettere a punto una rivisitazione, a distanza di oltre venti anni dalla prima normativa antiriciclaggio, che veda tutte le parti interessate, sarebbe importante. In altri momenti della storia recente in questo campo sono stati compiuti significativi progressi, a partire alla progettazione e dalle iniziative pionieristiche dell’allora Ufficio italiano dei Cambi. Ora ci si può basare anche sull’estesa collaborazione internazionale per combattere, non isolati, una battaglia che richiede una estesa interdisciplinarità.
L’Unità 06.03.14