Perchè proprio ora e perchè con tanta forza? La Commissione europea ha messo l’Italia sul banco degli accusati proprio nel momento in cui, si poteva sperare, avrebbe potuto anche decidere di aspettare e vedere che cosa verrà fuori dal cilindro del nuovo governo in fatto di misure per la crescita. E lo ha fatto mettendoci in una compagnia non proprio commendevole: insieme con un Paese in difficoltà serissime come la Slovenia e con uno, come la Croazia, in fase di assestamento dopo la recentissima adesione alla Ue.
E nello stesso rapporto, c’è da aggiungere (e non è per niente irrilevante), in cui vengono invece molto stemperate le critiche al Paese che in fatto di competitività sta al polo opposto al nostro: la Germania. Qualche tempo fa pareva che la Commissione avesse quasi dichiarato guerra all’esuberanza dell’export tedesco, accusato di aggravare scientemente il gap esaltando lo squilibrio con i partner. Ora invece la critica resta, ma molto smussata, e soprattutto non più accompagnata da minacce di sanzioni. Ed è chiaro che l’ammorbidimento verso lo squilibrio indotto da Berlino rende ancora più evidente e «colpevole» quello provocato da Roma.
Certo, al perché proprio ora si potrebbe dare una risposta piuttosto banale: il rapporto era pronto, circolavano già indiscrezioni, e sarebbe stato complicato accedere alla richiesta, che probabilmente è venuta (almeno informalmente) da Roma, di rinviarne la pubblicazione a dopo il Consiglio dei ministri che, si ritiene, metterà nero su bianco la strategia del governo in fatto di creazione di lavoro e abbassamento del suo costo. Può darsi che sia così, ma resta il fatto che il tono è comunque piuttosto intimativo. Non che ci siano novità sconvolgenti, giacché il campo delle richieste che Bruxelles rivolge all’Italia è sostanzialmente sempre lo stesso fin dai tempi della celeberrima lettera di Trichet e Draghi al moribondo governo Berlusconi, ma, insomma, un po’ più di implicita concessione di credito a Renzi & com- pany a poche settimane dal suo insediamento ce la si poteva aspettare. Tanto più che nei giorni scorsi non debbono essere mancati a Bruxelles segnali dall’Italia sul fatto che a Ro-
ma si sta lavorando proprio sui dossier evocati dal rapporto e ribaditi ieri da Olli Rehn: la riforma del mercato dell’occupazione e la riduzione delle tasse sul lavoro con il già annunciato intervento per ridurre il cuneo fiscale.
Qual è il problema, allora? Forse il ministro Padoan ha preso tempo e non ha risposto alle richiste di chiarimenti sulle intenzioni del suo governo? Forse i dettagli delle misure italiane che sono stati anticipati a Bruxelles non sono stati apprezzati o non vengono giudicati sufficienti? Forse la Commissione, che si sente già vicina alla fine del proprio mandato, ha voluto semplicemente marcare una posizione a futura memoria? Forse si è trattato di un avvertimento a mettersi più seriamente al lavoro per la preparazione della presidenza italiana? Poiché nessuno lo preciserà mai, ogni illazione è possibile. L’unica cosa certa è l’esperienza del passato e l’esperienza dice che qualche motivo per non fidarsi dei «faremo» italiani a Bruxelles lo hanno. In particolare ce l’ha il commissario agli Affari economici, il quale si sarebbe legato al dito lo sgarbo del precedente governo italiano che mentre lui, in buona compagnia con il Fmi e l’Ocse, invitava l’Italia a concentrare gli sforzi sulla detassazione del lavoro si vi- de rispondere con l’abolizione dell’Imu (e tutti i pasticci che ne sono derivati).
Comunque stiano le cose, è chiaro che la collocazione dell’Italia tra i reprobi rende ancora più tenui le speranze di poter aprire nei prossimi mesi una discussione sul tetto del 3% e sui criteri di computo del deficit. E, per tornare al capitolo delle ipotesi, anche questa potrebbe essere una spiegazione: una cannonata di avvertimento per segnalare come il discorso sia bell’e chiuso. Almeno con questa Commissione, perché con la prossima (specie se il presidente dovesse essere il socialista Schulz) si aprirebbero forse altre prospettive. Magari già avviate nel Consiglio europeo di ottobre in cui, con l’esecutivo attuale ancora in carica ma sapendo già chi gli elettori europei avranno scelto per guidare il prossimo, si dovrebbero discutere i «partenariati per la crescita», ovvero le eventuali sistemazioni dei deficit e dei rientri alla luce delle riforme avviate dai vari Paesi.
Insomma, la reprimenda all’Italia potrebbe essere nella chiave della sorda lotta che si sta giocando sui tavoli europei tra chi pensa sia arrivato il momento di concentrarsi su crescita e investimenti e chi resta ancorato alla religione dell’austerità.
L’Unità 06.03.15