Sbaglia chi pensa di essersi finalmente liberato del trio Tremonti, Gelmini, Sacconi. Se i primi due, almeno per il momento, sono fuori dalla maggioranza di governo, l’ex ministro del lavoro invece è transitato nel raggruppamento di Alfano e dalla presidenza della commissione lavoro del Senato cercherà di influire sui provvedimenti del nuovo governo della cui maggioranza fa parte a pieno titolo.
A questo fine ha raccolto in un disegno di legge un concentrato delle ricette ideologiche del governo Berlusconi in tema di lavoro e formazione. In materia di lavoro l’obiettivo principale è la demolizione del contratto nazionale di lavoro attraverso la sua derogabilita’ anche individuale. In materia di formazione si propone il contratto di apprendistato a partire da quattordici anni e l’abrogazione della norme sul diritto all’apprendimento permanente.
Il centro destra italiano ritiene sia inutile (e forse anche politicamente dannoso) innalzare il livello di istruzione del paese (obiettivo UE di almeno il 40% di laureati nella fascia di età 25-34 anni entro il 2020) perché il nostro sistema produttivo (95% di piccole imprese) domanda poche competenze alte. Anche per questo hanno tagliato oltre 8 miliardi a scuola e università e puntano a spostare fasce della popolazione scolastica verso i percorsi formativi brevi, meglio ancora se in apprendistato. Non pago di aver già abbassato l’età di accesso al lavoro a 15 anni per favorire l’adempimento dell’obbligo di istruzione attraverso l’apprendistato, ora la proposta di Sacconi è di abbassarla ulteriormente a 14 anni in modo che si possa andare a lavorare subito dopo la licenza media. Eppure dovrebbe aver preso del fallimento del suo precedente tentativo attivato solo in pochissimi casi: non si sono, infatti, trovati imprenditori con così poco buon senso da assumere quindicenni. Ora non si capisce perché la cosa dovrebbe funzionare con i quattordicenni. Questa idea di fare dell’apprendistato un canale alternativo alla scuola è sbagliata e perdente anche perché il sistema produttivo italiano è povero di capacità formativa. Le attività di formazione continua dei lavoratori sono infatti molto sotto la media dei paesi sviluppati (vedi anche ultimo rapporto Isfol), così come le assunzioni delle alte qualifiche e gli investimenti in ricerca e sviluppo. La realtà è questa. Queste proposte, spesso ammantate da pelosi buoni propositi di contrasto alla dispersione scolastica, non possono che tradursi nella rinuncia a priori ad assicurare a tutti i giovani l’apprendimento di quel bagaglio culturale essenziale per essere cittadini, consapevoli e lavoratori occupabili e persone capaci di apprendere lungo tutto il corso della vita.
Decisamente più intelligente la sperimentazione dell’apprendistato in alternanza introdotta dal decreto Carrozza (art.8 bis). Già accolta in un accordo sindacale all’Enel, diventerà operativa una volata emanato il decreto ministeriale cui è affidato il compito di regolare l’esperienza. Studenti dell’ultimo biennio della scuola secondaria superiore potranno essere assunti con un contratto di apprendistato e diplomarsi attraverso un percorso formativo in alternanza in cui all’apprendimento si realizza in parte nel contesto scolastico e in parte nel contesto lavorativo. Il percorso è co-progettato, la scuola garantisce il raggiungimento di tutte le competenze previste in uscita dal percorso di istruzione, l’impresa mette a disposizione un contesto di apprendimento che facilita e migliora l’acquisizione delle competenze connesse al processo lavorativo. Gli studenti coinvolti in questa esperienza, oltre a una retribuzione commisurata all’impegno lavorativo a tempo parziale e all’opportunità di imparare facendo, miglioreranno le proprie possibilità di entrare nel mercato del lavoro grazie a un profilo di competenze più allineato alle effettive esigenze delle imprese. Nel caso dell’accordo Enel si prevede la possibilità, una volta conseguito il titolo di studio, di una conferma dell’assunzione attraverso un ulteriore contratto di apprendistato di un anno finalizzato al conseguimento delle competenze previste dalla qualifica contrattuale che dovranno ricoprire con l’assunzione a tempo indeterminato. In alternativa i giovani potranno proseguire gli studi nei percorsi universitari o di istruzione tecnica superiore. Le imprese, attraverso questi percorsi formativi integrati, sono stimolate a non considerare l’apprendistato come uno dei modi per ridurre il costo del lavoro, facendo diventare prioritario l’interesse per la qualità del lavoro e per le competenze necessarie a promuovere l’innovazione. Inoltre attraverso la sperimentazione si sviluppano le capacità delle imprese a progettare e gestire processi di apprendimento sul lavoro e attraverso il lavoro e così si pongono le basi anche per qualificare tutti i percorsi formativi in apprendistato. L’enfasi diffusa sull’apprendimento “on the job” è aria fritta se non si promuove concretamente la capacità formativa dell’impresa, a partire dallo sviluppo di professionalità specifiche interne alle imprese capaci di accompagnare studenti nei percorsi di apprendimento attraverso il lavoro.
L’altra “perla” del disegno di legge Sacconi è l’abrogazione delle norme contenute nella legge 92 sull’apprendimento permanente, per il quale si prevede, non senza senso dell’umorismo, il ritorno alla normativa previgente, cioè il nulla. Difficile comprendere le ragioni dell’accanimento di Sacconi contro norme che con un ritardo più che decennale allineano il nostro paese, agli ultimi posti per il livello delle competenze della popolazione, alle indicazioni e alle pratiche dell’Unione Europea. Già Confindustria ne aveva chiesto lo stralcio, timorosa delle possibili possibili ricadute contrattuali della certificazione pubblica delle competenze acquisite dai lavoratori attraverso il lavoro e/o altri percorsi di apprendimento non formali e informali. Di certo l’azzeramento delle norme sull’apprendimento permanente farebbe perdere al paese un’altra occasione per mettere in atto una delle condizioni essenziali per uscire dalla crisi e tornare a crescere.
Due recentissime indagini (ISFOL sulla formazione continua e CENSIS sulla valorizzazione delle competenze da parte delle imprese) evidenziano la stessa semplice realtà: le imprese, poche purtroppo, che hanno messo in atto processi di innovazione oggi sono quelle che crescono economicamente, aumentano l’occupazione, domandano nuove competenze. Una politica economica e industriale che intenda promuovere e sostenere i processi di innovazione deve quindi essere in grado di rispondere alla nuova domanda di competenze proveniente dalle imprese che si riposizionano per fronteggiare la crisi e al bisogno dei lavoratori di valorizzazione e sviluppare le proprie competenze per rafforzare la propria posizione nel posto e nel mercato del lavoro.
Con buona pace del senatore Sacconi, non possiamo allora permetterci di perdere l’opportunità di costruire un sistema integrato dell’apprendimento permanete. Il sistema pubblico nazionale della certificazione delle competenze e le reti territoriali dell’apprendimento permanente – il cui compito è realizzare una programmazione integrata delle risorse, dell’offerta e dei servizi dell’apprendimento permanente – sono infatti gli strumenti indispensabili per realizzare concretamente una strategia di innalzamento delle competenze coerente con lo sviluppo dell’innovazione e dell’occupazione.
da ItaliaOggi 04.03.14