"Pasolini e canzoni, lo stile Borgna", di Paolo Franchi
Con Gianni Borgna non se ne va soltanto una personalità per tanti aspetti irripetibile e impossibile da catalogare sulla scorta delle categorie che attualmente vanno per la maggiore. Se ne va una stagione della sinistra italiana. Un tempo in cui l’idea (e la pratica) di un rapporto stretto non solo tra politica e cultura, ma tra politica, cultura e amministrazione era, almeno come ambizione, nell’ordine delle cose. Un’epoca in cui un giovane colto e brillante che voleva vivere appieno il tempo suo e dei suoi coetanei senza mettersi a fare il grillo parlante poteva anche pensare che il lavoro politico a tempo pieno (o, se preferite, la politica come scelta di vita e come mestiere) fosse la forma più alta di attività intellettuale. Agli inizi degli anni Settanta (e poi forse per tutta la vita, nonostante un’infinità di delusioni) Gianni lo pensò, eccome. A chiamarlo a guidare la gioventù comunista romana fu il futuro sindaco della capitale, il viterbese Luigi Petroselli, all’epoca segretario del Pci a Roma, noto tra i suoi con il nomignolo di …