Speriamo che in questo 2014 le cose vadano meglio ma di certo il 2013 dell’economia in Italia è stato brutto e lo conferma il crollo dei consumi, l’indicatore più sicuro del malessere delle famiglie: il -2,1% rispetto a un anno prima è il dato peggiore dal 1990 cioè da sempre visto che la serie storica è cominciata allora. In parole povere era da almeno 24 anni, ma in realtà potrebbero essere molti di più, che i commercianti non si trovavano di fronte a cifre simili. Fra l’altro, il 2013 è stato l’ultimo di diversi anni di consumi in calo, quindi quel -2,1% è rispetto a dati già bassi in maniera patologica. È da un quadriennio che per colpa della crisi le famiglie sono costrette a stringere la cinghia, se si esclude la piccola eccezione del 2010, quando sembrò profilarsi una ripresa (ma a ben guardare anche quell’eccezione evaporerebbe facendo i calcoli in termini reali, ovvero al netto dell’inflazione).
Fra i numeri dell’Istituto nazionale di statistica colpiscono soprattutto quelli del comparto alimentare. Nel 2013 gli italiani, attanagliati dalla recessione, hanno dovuto risparmiare pure a tavola, dove i consumi sono calati dell’1,1% come non accadeva dal 2009.
La forzosa «spending review» delle famiglie non sembra conoscere limiti e dopo avere eliminato il superfluo va a intaccare pure i beni di prima necessità. Ne è un’altra prova la flessione del valore degli acquisti di farmaci (-2,4%). Certo si deve pur mangiare e la soluzione è offerta dai discount, cioè i negozi di prodotti super-scontati che sono gli unici a terminare l’anno in positivo (+1,6%), seguiti a distanza dai cosiddetti esercizi specializzati (+0,5%), cioè i negozi focalizzati su una singola tipologia (mobili, abbigliamento, libri).
L’aumento delle vendite «low cost» preoccupa la Coldiretti che mette in guardia dai «prodotti offerti spesso a prezzi troppo bassi, prodotti di scarsa qualità che rischiano di avere un impatto sulla salute» (benché non si debba generalizzare né criminalizzare a priori i prodotti dei discount, visto che queste catene di negozi svolgono una funzione utilissima nella crisi, sono un fattore di sopravvivenza per molte famiglie). Tutto il resto del settore della distribuzione, compresi i supermercati e gli ipermercati, registra un giro d’affari in contrazione, a cominciare dai piccoli negozi, come le botteghe e gli alimentari sotto casa (-2,9%).
Un ulteriore risvolto negativo, evidenziato dalla Confesercenti, sta nel fatto che nei passati dodici mesi sono andate in fumo quasi 19 mila imprese del commercio al dettaglio, più di duemila solo nell’alimentare, strangolate dalla mancanza di clienti. E un’altra associazione, la Confcommercio dice che «l’ennesimo calo congiunturale, quello di dicembre, è molto peggiore del previsto». Infatti neppure il Natale è riuscito a spronare la domanda. Anzi, l’arretramento è stato netto (-0,3% su novembre e -2,6% su base annua). Federdistribuzione parla di «un comportamento di freno ai consumi, divenuto ormai consolidato».
I conteggi delle associazioni di consumatori sembrano non lasciare scampo: secondo Federconsumatori e Adsubef solo per i prodotti della tavola in media una famiglia ha diminuito la spesa di 309 euro, e non perché i prezzi siano calati ma perché si è proprio comprata meno roba. Il Codacons guardando più in là prevede un altro anno debole sul fronte consumi, ipotizzando un calo dello 0,8% per il 2014. Non fa ben sperare il dato sulla fiducia dei consumatori a febbraio, di nuovo in calo, anche se le interviste dell’Istat si fermano alle prime due settimane del mese e quindi non possono registrare gli eventuali effetti del nuovo governo sul dato della fiducia.
La Stampa 26.02.14