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"Un marziano a palazzo Madama", di David Allegranti

I foglietti con gli appunti del discorso, quelli che gli servono, come sempre, per andare a braccio. L’abito scuro, forse di Versace (almeno di Versace era la custodia porta abiti immortalata al mattino in partenza da Pontassieve). Angelino Alfano alla sinistra, Federica Mogherini alla destra. Alle 14:07 il marziano arrivato da Rignano sull’Arno inizia il suo discorso con cui chiede la fiducia al senato.
Non è emozionato, anzi, tutto il contrario, paradossalmente lo era a Verona quando nel 2012 si candidò alla guida del paese sfidando Bersani. Ingaggia subito uno scontro con i grillini – ci sono le Europee alle porte, e si vede – e nella prima parte non è il premier che parla ma il segretario del Pd in campagna elettorale permanente.
Quando i grillini lo sfottono – «Ma questo è pazzo!», dice con il solito eloquio forbito la senatrice del M5S Paola Taverna – lui non si tira indietro, anzi è quasi divertito nel raccontare di come il Pd ha vinto in Sardegna, dove il Movimento di Grillo non si è presentato. I senatori a 5 Stelle rumoreggiano, quelli del Pd pure, la senatrice fiorentina Rosa Maria Di Giorgi invoca l’intervento del presidente del senato Piero Grasso, Renzi guarda alla sua destra, dove ci sono i suoi, fa un cenno come a dire «ci penso io», e dice loro di stare tranquilli perché devono svolgere anche una «funzione sociale», di aiuto. Manca solo che dica Grillo chi?, ed è fatta.
Quando vuole rafforzare un concetto, si mette la mano sinistra in tasca, quella destra invece viene agitata con un gesto vigoroso. Un gesto studiato, già visto nei comizi delle ultime campagne elettorali. A osservare la scena e a sentire l’intervento, in alto, ci sono la moglie Agnese, seduta accanto a Marco Carrai, l’amico di una vita, il sottosegretario ombra. Renzi guarda Carrai, sorride, lui ricambia.
Poi guarda in alto alla sua sinistra. Prende fiato e parte. Dice di arrivare in senato, lui che non ha neanche l’età per essere eletto senatore, «in punta di piedi». Questo non gli vieta però di annunciare che questa sarà «l’ultima volta» che il senato voterà la fiducia al presidente del consiglio. Come a dire: la prossima volta voi non ci sarete.
Sono messaggi ai tacchini senatoriali che dovranno votare per la propria auto eliminazione, ma soprattutto – come l’intero discorso – a chi sta fuori dal Palazzo. È un discorso di fiducia, ma la fiducia sembra chiederla agli italiani là fuori, che lo guardano in diretta tv.
Gli applausi arrivano, non sembrano essere convinti, anzi il nuovo presidente del consiglio viene accolto con una certa freddezza. Gaetano Quagliariello, che pure lo sostiene con Ncd, non batte mai le mani. I Vito Crimi e le Taverna si agitano molto, lui ci gioca, «mi dicevano che al Senato non vi divertivate, e invece…»; dal M5S gli rispondono lesti «è perché sei arrivato te!». Insomma, ne vedremo delle belle, questo è solo il trailer delle prossime settimane.
Chiuso l’intervento, Renzi viene attorniato dai suoi e non solo. Lui, come un Cassano super rodato in campo, si mette la mano davanti alla bocca per non farsi pizzicare dalle telecamere. Alla ripresa, Renzi si mette al suo posto, ascolta gli interventi, prende appunti e legge i biglietti di felicitazioni che gli sono stati consegnati dai commessi. Li apre uno dopo l’altro, li legge e poi li strappa facendo un mucchietto di carta. L’alieno è arrivato a palazzo Madama e si è fatto notare per l’irritualità. Il senato si aspettava un discorso alto e strutturato, lui ha scelto il metodo Leopolda.

da Europa QUotidiano 25.02.14

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“Contenuti ottimi, forma da rivedere”, di Stefano Menichini

Nessun timore reverenziale nel discorso della fiducia di Matteo Renzi. Alcuni obiettivi chiari, altri meno, nessuna cifra, conferma per l’Italicum. Ma poteva prepararlo meglio

Le buone notizie innanzi tutto. Matteo Renzi non si fa cambiare dal successo e dal contesto: nel giorno del discorso più importante e solenne, gli affezionati riconoscono il proprio beniamino, la sua verve, la sua aggressività, l’assenza di timore reverenziale.
La schiettezza sul punto delicato è totale: cari senatori sono qui per eliminare la vostra assemblea, così com’è, dalla scena costituzionale. Analogamente, non ci sono equivoci possibili su altri impegni cardine: la priorità alla dignità del sistema scolastico (a partire dalle scuole come edifici: sacrosanto); l’attacco ai centri del potere burocratico statale e alla inamovibilità dei dirigenti; la volontà di spazzare via il potere dei Tar; l’abbattimento del carico fiscale su lavoratori e imprese; l’eliminazione delle province; un intervento sui mali della giustizia, che non c’entrano niente con la guerra berlusconiana.
Altre buone notizie. La riforma elettorale non finisce nel congelatore. S’è capito che Renzi è disposto a miglioramenti marginali dell’Italicum ma lo vuole approvato entro l’estate, con un primo voto alla camera nei prossimi giorni. Il legame con la più complessa e lunga riforma costituzionale sarà «politico» e non giuridico, ammesso che questo fosse possibile.
Infine, l’aggressività verso Cinquestelle: fino alle Europee e oltre, quello di Renzi sarà un governo di battaglia contro Grillo e i suoi, continuamente e irritualmente sfidati fin da ieri a palazzo Madama.
Infine, le notizie meno buone.
Va bene la genuinità. Ma estratta dalla Leopolda e privata di videoclip, la retorica a braccio di Matteo Renzi crea confusione nell’ascoltatore anche ben disposto. Senza dover per forza arrivare all’impaludamento e alla liturgia, discorsi forti, chiari e dai contenuti innovativi possono essere preparati e presentati con risultati migliori, e con maggior rispetto per il parlamento. È poi legittimo il dubbio che l’improvvisazione qui serva anche a sfuggire a impegni precisi sul reperimento delle risorse e sui punti di mediazione con la destra su ius soli e unioni civili.
Si intuisce la sfiducia del premier verso la solidità del quadro politico che lo sostiene e verso la disponibilità del parlamento ad assecondarlo. Di qui la minaccia del ricorso a elezioni anticipate. E se è ottima l’intenzione di non rimanere a vivacchiare, certo ieri non si sono dissipate le ombre sulle chances di successo di un’operazione lanciata più per necessità che per convinzione.

da Europa Quotidiano 25.02.14