Matteo Renzi conferma di voler puntare sulla centralità della scuola («coinvolgere gli insegnanti dal basso per ogni processo di riforma») e sulle scuole anche per far ripartire l’edilizia, garantendo al tempo stesso la sicurezza dei nostri figli. Il premier ha dato ieri cinque indicazioni precise e operative sul piano che è pronto a lanciare. La prima novità – la più importante anche sotto il profilo politico generale e di rapporto con l’Unione europea – è che per far funzionare il piano di edilizia scolastica «va cambiato subito il patto di stabilità interno».
Dopo anni di rimpalli e cautele, l’assalto esplicito al patto che in altre occasioni aveva definito, da sindaco, «sciocco», segna una svolta netta. «Come si può pensare – ha detto Renzi – che il Comune, la Provincia abbiano competenza sull’edilizia scolastica senza però avere la possibilità di spendere soldi che sono lì bloccati perché esistono norme che si preoccupano della stabilità burocratica ma non si rendono conto della stabilità delle aule in cui vanno a studiare i nostri figli?».
Le altre novità non sono da meno, quanto a decisionismo operativo (sempre che, ovviamente, agli impegni seguano le decisioni). La seconda è che si tratta di un «programma straordinario» e questo significa probabilmente che le procedure saranno fuori dell’ordinario per aggirare soprattutto sovrapposizioni burocratiche e mancanza di coordinamento che in passato si sono verificate anche all’interno dell’Esecutivo, prima ancora che con Regioni ed enti locali. Non a caso anche il Governo Letta aveva stabilito un coordinamento sull’edilizia scolastica a Palazzo Chigi senza che per altro questo abbia portato allo sblocco delle opere.
La terza novità riguarda l’entità del piano: sarà un piano di «qualche miliardo di euro e non di qualche decina di milioni», espressione non priva di ironia che certamente ha per bersaglio anche l’ultimo stanziamento da 150 milioni previsto dalla legge di stabilità (per cui sono già arrivati progetti per oltre un miliardo).
Il quarto dettaglio operativo – un paletto temporale che è forse l’impegno concreto più netto e più sfidante in termini di realizzazione – è che le opere del programma saranno realizzate tutte fra il 15 giugno e il 15 settembre, periodo in cui le scuole sono chiuse ed è più agevole svolge i lavori.
Il quinto dettaglio si potrebbe dire di ordine procedurale, ma dà anche il senso temporale dell’urgenza. «Domani – ha detto il premier a palazzo Madama – scriverò una lettera ai miei colleghi sindaci, oltre 8mila, per chieder a tutti loro e ai presidenti di provincia sopravvissuti di fare il punto della situazione sull’edilizia scolastica». Renzi ha citato, per riferimento culturale, l’articolo del senatore Renzo Piano sul Domenicale del Sole 24 Ore (del 26 gennaio scorso). Piano invitava a «rammendare le nostre periferie», un’espressione «molto bella – ha detto Renzi – che dà il senso di ciò di cui abbiamo bisogno».
E a proposito di manutenzione del territorio, Renzi si è spinto a immaginare che una cura analoga a quella per l’edilizia scolastica debba essere avviata anche per il dissesto idrogeologico. Qualcosa che avvicina le idee di Renzi a quel piano delle piccole opere lanciato nelle settimane scorse anche dai costruttori dell’Ance. E proprio dall’Ance è arrivata una prima valutazione positiva delle proposte del premier. «Se i punti elencati dal premier saranno trasformati rapidamente in provvedimenti – ha detto il presidente dell’associazione, Paolo Buzzetti – saremo sulla buona strada». Il riferimento di Buzzetti non va solo al programma di edilizia scolastica, ma anche alla volontà di sbloccare il pagamento di tutti i debiti della Pa, alle politiche di semplificazione e alle misure contro la stretta creditizia.
Il SOle 24 Ore 25.02.14
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La scuola tra le priorità del governo Renzi: “È il motore dello sviluppo”, di Flavia Amabile
Il premier ha annunciato interventi sull’edilizia scolastica
E allora si parte dalla scuola. Per la prima volta un presidente del Consiglio pone aule, studenti e professori in primo piano mentre chiede la fiducia in Parlamento. Introduce i mercoledì nelle classi di tutt’Italia, promette miliardi per rimettere a posto gli edifici a pezzi, chiede agli oltre ottomila sindaci di dirgli direttamente qual è la situazione nei loro comuni.
Per il momento sono chiacchiere ma l’impegno esiste, è forte, e comunque anche le parole in questo momento servono a dare l’idea di una rivoluzione culturale rispetto ai tempi bui della caccia alle streghe di gelminiana e brunettiana memoria. «Noi pensiamo che non ci sia politica alcuna che non parta dalla centralità della scuola», inizia Matteo Renzi.
La moglie, professoressa precaria di lettere nei licei fiorentini, l’aveva detto: gli apro uno squarcio sulla realtà, mi ascolta. Soprattutto sui problemi delle superiori perché sulla situazione nella primaria Renzi nei suoi anni a Firenze ha fatto da solo andando scuola per scuola a stringere mani, incoraggiare, capire.
Un’abitudine che proverà a mantenere anche da presidente del Consiglio, impegni istituzionali permettendo. «Mercoledì mattina – spiega ai senatori – come faccio tutte le settimane, mi recherò in una scuola (la prima sarà un istituto di Treviso, perché ho scelto di partire dal Nord-Est, mentre la settimana prossima andrò in una scuola del Sud), e lo farò perché penso che sia fondamentale che il governo non stia soltanto a Roma».
La priorità? «Tornare a credere che l’educazione sia davvero il motore dello sviluppo. Ci sono fior di studi di economisti che dimostrano come un territorio che investe in capitale umano, in educazione, in istruzione pubblica è un territorio più forte rispetto agli altri». E, quindi, in tempo di crisi, soltanto dalla scuola si può provare a ricominciare.
Bisogna intervenire nell’edilizia scolastica, spiega lanciando una critica indiretta al governo Letta «dal 15 giugno al 15 settembre, con un programma straordinario – dell’ordine di qualche miliardo di euro, e non di qualche decina di milioni – da attuare sui singoli territori, partendo dalle richieste dei sindaci e intervenendo in modo concreto e puntuale». Avverte che si deve cambiare il Patto di Stabilità, o tutto sarà inutile. Parla degli asili nido ricordando che in una parte dell’Italia le cifre sono drammatiche e che questo ha conseguenze sulla disoccupazione femminile e sulle opportunità dei bambini. E parla della cittadinanza italiana che deve essere data «dopo un ciclo scolastico».
Non parla, invece, di salari e di risorse agli insegnanti, il nuovo premier, ed è questo che i sindacati gli ricordano pur apprezzando il discorso. Sanno che il terreno di scontro rischia di essere tutto lì.
La Stampa 25.02.14