In carrozzina, in lacrime, Yiulia Tymoshenko, appena uscita di prigione, ha chiuso una giornata ricca di drammi, non conclusi, tra le barricate di piazza Indipendenza. ATARDA sera l’ex primo ministro e capo dell’opposizione ha ringraziato le centomila persone che l’acclamavano, dicendo che erano state loro a liberarla, e non i diplomatici venuti da fuori. Soltanto allora la “rivoluzione” ha sorriso e ha sparato fuochi d’artificio nel cielo grigio in onore della prigioniera liberata. Prima di quel momento le strade di Kiev erano gremite da una folla più angosciata che trionfalistica. Pesava sulla città, e pesa ancora, la minaccia di una secessione. La soddisfazione per gli avvenimenti della notte era velata dall’ansia. Il detestato presidente, Viktor Yanukovic, aveva lasciato Kiev; il Parlamento l’aveva giudicato «non in grado di adempiere alle sue funzioni» e quindi l’aveva deposto. Alcune radio raccontavano che da Kharkiv, dove era approdato, aveva poi cercato di ripartire in aereo per la Russia, ma che era stato bloccato sulla pista di volo da un gruppo di manifestanti.
Mi aspettavo che questi avvenimenti suscitassero canti e sorrisi, e invece, percorrendo le strade in salita in direzione del Parlamento, e facendomi largo tra la folla compatta, soffocante di piazza Indipendenza, scoprivo soltanto volti preoccupati. Ogni tanto si alzava una voce isolata: «A morte i criminali». Neanche i comizi erano trionfalistici. I toni erano mesti. Neppure sulle barricate i ribelli esultavano agitando manganelli e sbarre di ferro, nonostante nelle ultime ore la capitale fosse caduta nelle loro mani e il Parlamento avesse legittimato la loro protesta.
Colpiva l’ordine nella città. Le automobili si fermavano ai semafori, i negozi erano aperti, anche in prossimità delle barricate. Capitava che gli uomini spesso mascherati delle “centurie”, di cui si conoscono le idee estremiste, radicali, svolgessero il ruolo di vigili urbani, in prossimità del campo trincerato. Penso che il grigiore delle espressioni fosse dovuto alla consapevolezza che la vittoria dell’insurrezione rischia di avere un costo molto alto. La secessione, appunto, questo era ed è l’incubo: la spaccatura della nazione ucraina, con tutte le conseguenze di una divisione sofferta, lacerante, forse ritmata dalla violenza.
L’Ucraina si sta infatti sgretolando. Le regioni orientali russofone non accettano la destituzione del presidente, Viktor Yanukovich, appena decretata dal Parlamento di Kiev; mentre le regioni occidentali più “europee” accolgono con sollievo la liberazione di Yiulia Tymoshenko, condannata a sette anni di carcere, e amnistiata dal Parlamento trasformatosi in una Convenzione rivoluzionaria.
Nella notte tra venerdì e sabato Yanukovich ha sentito che la sua sicurezza personale non era più garantita, e, pare con due elicotteri, ha lasciato di gran fretta la sua lussuosa residenza sul Dniepr, e ha raggiunto Kharkiv, storica seconda città dell’Ucraina, situata nel Nord Est russofilo. Là, alloggiato in un club di golf, ha annunciato alla televisione di non avere l’intenzione di dimettersi e di essere vittima di un colpo di Stato. Inizierà al più presto visite nelle regioni a lui favorevoli. Al più presto andrà a Odessa, dove si parla da tempo di una secessione della Crimea. Yanukovich si è ben guardato dallo smentire le voci sulla sua tentata fuga in Russia. Nella stessa Kharkiv il governatore, Mikhailo Dobkineon, ha riunito a congresso i rappresentanti delle regioni ucraine vicine per studiare l’inaccettabile situazione creatasi a Kiev. E alla riunione hanno
partecipato governatori e deputati russi.
Esistono ormai due poteri ucraini distinti. Quello nelle province orientali filo russe, di cui Kharkiv è la città principale, e dove Viktor Yanukovich si trova in una posizione incerta, ma da dove può tentare iniziative contro il potere di Kiev nato dall’insurrezione. Quest’ultimo ha l’appoggio, per ora disordinato, dei ribelli di piazza Indipendenza, e ha ricevuto il battesimo della legalità dal Parlamento, nel quale è avvenuto un terremoto.
Molti deputati del partito delle Regioni, di cui Yanukovich è o era il leader, hanno aderito al Partito della Patria di Yiulia Tymoshenko. Si è così formata una maggioranza di 328 voti (su 450) che ha destituito Yanukovitch e liberato Tymoshenko. Lo stesso Parlamento ha deciso di tenere elezioni presidenziali il 25 maggio, di formare un governo di “salute pubblica” entro dieci giorni e ha nominato l’ex sindaco Avakov ministro degli interni d’emergenza. Il quale ha invitato i gruppi estremisti di
piazza Indipendenza a unirsi alla polizia per mantenere l’ordine pubblico, aggregandoli al nuovo potere.
Al centro dell’Europa una rivolta rischia di spaccare il secondo paese del continente per la superficie, fino a qualche anno fa con quasi cinquanta milioni di abitanti poi ridotti a quarantacinque milioni da una dissanguante emigrazione economica. Un’operazione geopolitica di queste dimensioni un tempo provocava un conflitto armato, o ne era il risultato. Adesso la crisi Ucraina mobilita
la diplomazia al suo più alto livello. I ministri degli esteri di Francia, Germania e Polonia hanno pensato nella notte tra giovedì e domenica di avere realizzato un accordo che avrebbe riappacificato le forze a confronto a Kiev. Un confronto che arroventa i rapporti tra l’Europa da un lato e la Russia dall’altro. Con gli Stati Uniti ben presenti sullo sfondo. Dimostrando la propria disponibilità Putin ha mandato a Kiev un suo inviato, il diplomatico Vladimir Lukin, uomo famoso per la sua moderazione.
Ma Lukin se ne è andato senza firmare il testo dell’accordo ritenendolo inefficace, ingiusto e pericoloso. Infatti i rappresentanti moderati dell’opposizione, dopo avere sottoscritto il documento, non sono riusciti a convincere i gruppi estremisti di piazza Indipendenza, dai quali dipende il campo trincerato. Per questi ultimi l’accordo prolungava la presidenza di Viktor Yanukovitch, mentre al tempo stesso Yanukovitch sentiva i suoi poteri ridimensionati e minacciati. Insomma il compromesso realizzato dai ministri europei non ha prodotto l’intesa sperata. Al contrario ha fatto da detonatore. Ha fatto esplodere una situazione in verità già esplosiva.
L’incognita risiede adesso nel sapere come continuerà la “guerra non armata” tra russi e occidentali (europei e americani non divisi ma neppure uniti su questo problema). Putin ha promesso a Obama nelle ultime ore di non voler aggravare la situazione. Ed è presumibile che l’altro diretto interlocutore del leader russo, Angela Merkel, abbia ricevuto le stesse assicurazioni. Ma il ministero degli esteri russo ha fatto sapere al segretario di Stato che a suo avviso i ministri europei (il tedesco, il francese e il polacco) si sono lasciati ingannare a Kiev dagli oppositori di Yanukovich, un alleato non troppo stimato dal Cremlino. Se la secessione ucraina si confermerà, i russi da un lato e gli europei e gli americani dal-l’altro, saranno mesi alla prova. L’Ucraina pesa più del Kosovo e della Georgia.
La Repubblica 23.02.14