Ha fatto in fretta, ma non quanto avrebbe voluto. Ci ha messo quattro giorni per scegliere la squadra di governo e per risolvere le equazioni a più incognite sul programma. Per gli amanti dei numeri: un giorno in più di Enrico Letta. Matteo Renzi ha dovuto toccare con mano in questi primi passaggi la distanza tra le aspettative personali e i tempi della mediazione a cui ti può costringere un governo con una maggioranza troppo «larga».
Persino le quasi tre ore di colloquio con Giorgio Napolitano prima di dare il via libera alla lista dei ministri sono la prova che la strada non sarà sempre spianata. Eppure, superata la prova nella quale di solito si scatenano gli appetiti più famelici, bisogna dire che la squadra di Renzi, nonostante alcune fragilità, segna una discontinuità rispetto al governo Letta. Soprattutto nel campo economico che resta il più caldo per il nostro Paese: Pier Carlo Padoan all’Economia e Giuliano Poletti al Lavoro sono due figure di primo piano che fanno prevedere una diversa attenzione al fronte sociale della crisi e alla trattativa europea sulla crescita. La riduzione del numero dei ministri, il forte rinnovamento generazionale e una massiccia presenza femminile sono scelte molto coraggiose. L’impressione è che questo sarà un governo a forte «trazione renziana»: nel senso che sarà Renzi, in questa squadra, il vero propulsore.
Compiuta la prima mission, ora il premier ne ha davanti però un’altra forse più difficile. Dimostrare al Paese – soprattutto a quella parte che ha vissuto con disorientamento il repentino cambio di governo – che il prezzo di quello strappo non sarà inutile. Ci sono una manciata di settimane per mandare segnali di novità, per far capire come si affronterà il nodo crescita-occupazione e come si prenderanno di petto i problemi reali degli italiani. Sappiamo quali sono: i giovani senza lavoro talmente sfiduciati che nemmeno lo cercano più, i disoccupati vittime di una crisi che ha devastato il panorama industriale, gli imprenditori che chiudono le loro fabbriche perché non si consuma o perché le banche ti sbattono le porte in faccia. È sul dramma sociale che il premier si gioca la credibilità. Servirà concretezza, molta concretezza in questa battaglia, che non a caso il segretario Pd ha messo in cima alla sua agenda. E servirà determinazione, molta determinazione per spingere l’Europa a imboccare una strada alternativa al rigorismo che ha quasi strangolato le economie dei Paesi più esposti.
Ma Renzi ha davanti a sé anche un terreno minato sul quale dovrà muoversi con molta accortezza. Il rischio che la doppia maggioranza – quella di governo e quella delle riforme con Forza Italia – crei qualche confusione c’è, inutile nasconderlo. Il pericolo che il ruolo di Berlusconi diventi troppo ingombrante e possa, come è accaduto diverse volte, condizionare la vita dell’esecutivo va evitato in ogni modo. Del Cavaliere non bisogna fidarsi troppo: è la regola aurea che si dovrebbe seguire sempre, visti i precedenti. Per questo il premier deve mantenere una linea di demarcazione netta, senza ambiguità, altrimenti il percorso del governo può diventare molto accidentato. Proprio sulle riforme, infatti, Renzi si gioca una parte significativa delle sue possibilità di successo e non può sbagliare. L’Italicum, frutto di un accordo privilegiato con Berlusconi, presenta diverse criticità che abbiamo segnalato più volte su questo giornale. Correggere le storture (troppi sbarramenti, una soglia per il premio molto bassa, la permanenza delle liste bloccate e la riproposizione delle coalizioni-ammucchiata) non è una concessione che si fa a chi ha arricciato il naso (e non sono pochi) ma un impegno da prendere per dare finalmente all’Italia una legge elettorale funzionante, senza trucchi e senza inganni, in grado di rispettare due requisiti: la certezza possibile (ma non esorbitante) di una maggioranza di governo e la rappresentatività del corpo elettorale, compreso il suo diritto di scelta.
Come si vede il viaggio di Renzi non sarà una passeggiata, e lui lo sa bene. Dalla sua il nuovo premier ha coraggio da vendere, spregiudicatezza e la freschezza di una squadra giovane. E soprattutto crediamo che abbia la consapevolezza che questa impresa, nata in condizioni diverse da quelle che immaginava solo qualche settimana fa, è per lui un grande azzardo. E come tutti gli azzardi prevede solo due possibilità. Oggi chi ha cuore il futuro del Paese e pensa che il Pd sia uno dei pochi pilastri del cambiamento non può che tifare per la soluzione migliore. Ognuno deve metterci del suo per fare in modo che questa diventi una sfida vincente.
L’Unità 22.02.14