Matteo Renzi voleva che il messaggio fosse chiaro: il suo è il governo più giovane (47,8 anni l’età media dei ministri, 6 anni meno della squadra di Letta, per non parlare del gruppo di Monti più vecchio addirittura di 15), con più donne e tra i più snelli della storia della Repubblica. La scommessa è sulla freschezza, sulla novità e sull’energia, mentre i dubbi non possono che essere sull’esperienza e sulla capacità di incidere sulla peggiore crisi economica che l’Italia abbia conosciuto dal dopoguerra a oggi.
Nella lista letta ieri al Quirinale non ci sono colpi di scena, non ci sono quei nomi che fanno rumore che lo stesso Renzi sperava di avere con sé, troppi i no pesanti che ha dovuto ingoiare in questa settimana, figli di un governo nato all’improvviso e non dalle elezioni. Condizioni che devono aver spaventato i compagni di strada del sindaco di Firenze, proprio quelli che erano considerati le colonne del renzismo.
Il nuovo premier allora ha scommesso sui volti nuovi, sulla statistica e sulla coesione della squadra.
Così troviamo molti alla loro prima esperienza, un dato che certo piacerà a chi è stanco delle vecchie classidirigenti ma che non può non dare una qualche ansia. Se penso agli Esteri, ai nodi drammatici che dobbiamo affrontare – dal confronto con l’India alla guerra civile in Siria, fino al semestre europeo – mi viene spontaneo sentire la mancanza del peso di Emma Bonino. Così mi chiedo se il confronto con la burocrazia più conservatrice e tignosa del pianeta possa essere vinto da Marianna Madia.
La situazione in cui viviamo è però talmente delicata che tornare a focalizzarsi sulle condizioni in cui questa avventura è cominciata e sulle biografie può sembrare un esercizio inutile. Ma le conseguenze e gli obblighi che l’accelerazione (e anche la ferita del defenestramento di Letta) portano con sé saranno i dati costitutivi del nuovo governo. E imporranno velocità.
Il Paese non ha pazienza, è stato capace di divorare biografie tra le più diverse nella rincorsa della novità, ma ora appare all’ultima spiaggia. Il discorso più ricorrente che ascolto ha sempre lo stesso ritornello: «Renzi ce la deve fare». E questa frase è trasversale, si ascolta a destra come a sinistra, nei genitori e nei figli. E’ la convinzione di chi non riesce più a sperare e sente che non può permettersi di essere nuovamente deluso.
Renzi ha parlato di «risposte concrete» e queste sono le uniche che possono salvare lui e noi. Le priorità le conoscono tutti, è quasi superfluo ripeterle e sono il lavoro, il fisco, la scuola e la lentezza della macchina dello Stato in tutte le sue declinazioni. Ma ci sono anche riforme a costo zero, che ci metterebbero in sintonia con la realtà del mondo di oggi, che potrebbero essere fatte subito e darebbero un chiaro segno di cambiamento: la cittadinanza ai bambini nati in Italia da genitori stranieri (al termine di un ciclo scolastico) e una qualche forma di unione civile.
Fondamentale sarà avere un’agenda chiara, asciutta e con le priorità ben scandite. Di libri dei sogni e tonnellate di promesse non sappiamo più che farcene.
Il governo nato ieri è indubbiamente leggero, ma questo termine può avere due significati: il primo è critico e sta a indicare il contrario della forza e dell’autorevolezza e una certa superficialità; il secondo è positivo ed è l’accezione che ne dava Italo Calvino nelle «Lezioni Americane», la capacità di volare alto, di non farsi pietrificare e di non essere barocchi e pesanti. Il compito di Matteo Renzi e dei suoi ministri è di convincerci che hanno letto Calvino.
La Stampa 22.02.14