Diverse centinaia di embrioni sono conservate da oltre dieci anni nei congelatori dei centri di procreazione medicalmente assistita (Pma) e non possono essere più utilizzate per tentare la nascita di un bimbo. Il destino è che restino al freddo per sempre. In Italia è infatti vietato donarli alla ricerca, come invece è previsto in molti Paesi. Una donna, rimasta vedova, non ha voluto accettare quella che ritiene la violazione di un suo diritto. E si è appellata alla Grande Camera della Corte europea per i diritti dell’uomo. I giudici di Strasburgo hanno fissato l’udienza per il 18 giugno, ore 9,15.
Se il nostro governo fosse condannato il testo che dal febbraio 2004 regola l’attività della Pma potrebbe ricevere l’ennesima, poderosa spallata. Anche la nostra Corte Costituzionale si appresta (8 aprile) a esaminare il carattere di legittimità dello stop alla sperimentazione sugli embrioni in sovrannumero. E non è l’unico attacco alla legge approvata sotto il governo di Berlusconi, subito criticata come oscurantista, «madre» di 79 mila bambini dal 2005 al 2012: due ogni cento nati. Il secondo fronte aperto riguarda le tecniche eterologhe cioè la possibilità di tentare il concepimento in provetta attraverso la donazione di un gamete, ovocita o spermatozoo, appartenente a un donatore (in realtà si tratta di una donazione non gratuita).
La Corte Costituzionale su ricorso dei tribunali di Firenze, Milano e Catania si riunirà l’8 aprile. Mentre non è stata ancora fissata dalla Consulta la data per la discussione sul cosiddetto «accesso alle cure» delle coppie fertili. Oggi ai centri possono rivolgersi solo gli aspiranti genitori con sterilità e non coloro che, a causa di patologie, non riescono a mantenere la gravidanza.
Se anche questi ultimi tre puntelli saltassero la contestatissima «Quaranta», dal numero che porta, risulterebbe completamente stravolta. Nel tempo i suoi assi portanti sono stati sgretolati dalle sentenze di Cassazione e tribunali. Via il divieto di fecondare più di tre ovociti insieme, dunque di creare più di tre embrioni. Via l’obbligo di trasferirli in un’unica soluzione nel grembo della donna per evitare la conservazione sottozero di quelli in sovrannumero. Caduto questo muro i centri hanno ripreso a congelare.
E infine la sentenza del tribunale di Cagliari che nel 2012 ha obbligato un centro pubblico a effettuare la diagnosi preimpianto sugli embrioni, tecnica che permette di individuare la presenza di patologie gravi di cui i genitori sono portatori. Di fatto però questa metodica è quasi del tutto assente dagli ospedali e viene garantita solo dai privati.
Battaglie sostenute dalle associazioni (Cerco un Bimbo,l’Altra Cicogna e Amica Cicogna), in prima fila da Filomena Gallo, segretario della «Luca Coscioni», l’uomo che si è battuto per la libertà di ricerca, oggi l’anniversario della morte: «La legge così come è stata rimodellata rispetta finalmente i diritti della coppia ed è più applicabile. Nel testo del 2004 c’era una volontà di fondo. Non si volevano far nascere bambini e famiglie». Per Andrea Borini, presidente Sifes (Società italiana di fertilità e sterilità, lunedì un convegno a Roma sull’anniversario) «È stata incentivata la fuga all’estero delle nostre coppie che hanno cercato altrove soluzioni qui erano negate».
Però anche i più indefessi nemici riconoscono all’impianto originario alcune norme pregevoli che infatti non sono mai state attaccate. A cominciare dalla creazione presso l’Istituto Superiore di Sanità del Registro nazionale per la procreazione medicalmente assistita, affidato alla dottoressa Giulia Scaravelli, che se ne occupa con grande competenza e passione. Sulla base dei dati analitici comunicati dai 358 centri italiani ogni anno viene inviata al Parlamento una relazione che permette nel dettaglio di avere la fotografia di un’attività definita prima del 2004 da «Far west» proprio perché mancava il controllo. Un po’ per i limiti iniziali della legge un po’ per questo monitoraggio stretto le cliniche della fertilità hanno dovuto puntare sulla qualità e affinare le tecniche. Chi legge le tabelle della Scaravelli e le percentuali di successo capisce chi lavora bene e chi no.
La prossima relazione, relativa al 2012, verrà mandata al ministro della Salute a fine mese. Conterrà risultati in parte sovrapponibili a quelli precedenti. I bambini nati con le varie tecniche sono stati circa 12 mila, numero che si discosta di poco da quello del 2011 e che si presume resterà costante. Aumentata ancora l’età media delle donne, circa 36,7 anni, fattore che riduce la percentuale di successo.
Continuano a calare fortunatamente le gravidanze trigemine, segno di maggiore attenzione nel trasferimento di embrioni e nella stimolazione delle pazienti. Resta vivace il fenomeno della migrazione interregionale legata al divario dell’offerta. Toscana, Friuli Venezia Giulia, Lombardia e Emilia Romagna sono le mete più battute secondo un rapporto dell’associazione Cittadinanzattiva.
Il Corriere della Sera 20.02.14