I nuovi gravissimi incidenti a Kiev sono una sconfitta per l’Europa, che sperava di essere riuscita a trovare un compromesso per mettere fine agli scontri. Un tentativo tuttora in corso. Evidentemente Bruxelles condanna le violenze e potrebbe anche riconsiderare l’imposizione di sanzioni.
MA PRENDE le distanze dagli Stati Uniti che accusano esclusivamente il regime di Yanukovich. Nella notte il vicepresidente Usa, Joe Biden, telefona allo stesso Yanukovich per chiedergli di ritirare le forze di polizia. E per esprimere la grave preoccupazione americana per il precipitare degli eventi. L’alto rappresentante per la politica estera della Ue, Catherine Ashton, che si dice «molto preoccupata», condanna «l’uso della violenza in tutte le sue forme,
inclusa quella contro gli edifici pubblici o dei partiti», un riferimento agli assalti dei manifestanti contro il Parlamento e contro le sedi dei partiti di governo.
È chiaro che la Ue spera ancora di poter svolgere un ruolo di mediazione tra le due fazioni in lotta. E insiste sul fatto che la soluzione della crisi non può essere che politica. «Le decisioni politiche vanno prese in Parlamento e l’Ucraina deve tornare urgentemente al processo parlamentare — insiste la Ashton — . La soluzione dovrebbe includere la formazione di un governo inclusivo, riforme costituzionali e la preparazione di elezioni presidenziali trasparenti». È più che un generico appello alla calma: è quasi una road map per indicare una via di uscita all’escalation di violenze che rischia di diventare incontrollabile.
Anche il commissario europeo all’allargamento Stefan Fuele, che ha giocato un ruolo importante fin dall’inizio della crisi, quando Yanukovich improvvisamente cancellò gli accordi di associazione che doveva firmare con la Ue, ha confermato che i canali di comunicazione con il regime di Kiev sono sempre aperti. «Oggi ero al telefono con il primo ministro ad interim, e gli ho detto che vedere la polizia con i kalashnikov mi riempiva di preoccupazione. Mi ha assicurato che farà tutto il possibile perché i fucili restino in silenzio. Per il bene degli ucraini e per il futuro di quel Paese, prego perché sia vero».
Intanto però le nuove violenze hanno riacceso il dibattito interno all’Ue tra quanti sono favorevoli a sanzioni personali contro gli esponenti del regime e quanti invece difendono una linea più morbida. Le sanzioni sono state chieste due settimane fa dal Parlamento europeo. E ieri il ministro degli esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier ha messo in guardia Kiev su «possibili ripensamenti a proposito delle sanzioni » da parte della Ue. Steinmeier ha anche avvertito che le forze di sicurezza «hanno responsabilità precise» per mettere fine agli scontri.
Sulla questione è intervenuto anche il premier polacco Donald Tusk: «Se le sanzioni devono essere applicate, che non siano solo di facciata. Bisogna che siano veramente dolorose per il potere ucraino. Bisogna essere coscienti che, dal punto di vista dell’Europa, è pressoché una extrema ratio. L’Unione europea non dispone verosimilmente di altri mezzi e la Polonia è tra quelli che spingono l’Ue a utilizzare le sanzioni ».
Anche Tusk, però, condivide l’approccio negoziale di Bruxelles e il tentativo di trovare una mediazione: «Continueremo a operare per un compromesso in Ucraina, perché una guerra civile di piccola o grande scala, o un conflitto rampante e permanente, non è sicuramente nell’interesse di nessuno».
La Repubblica 19.02.14