L’agricoltura prende in consegna il paesaggio. O, almeno, una sua parte consistente. Muove infatti i primi passi l’Osservatorio del paesaggio rurale, un organismo del ministero per le Politiche agricole che intende censire e poi salvaguardare e, semmai, recuperare, quelle porzioni di territorio che, nonostante le modifiche, conservano una serie di caratteristiche storiche, sia per l’assetto (i terrazzamenti della Costiera amalfitana o del Chianti, per esempio), sia per le pratiche di coltura (dall’uso di concimi naturali al mantenimento di diverse produzioni). L’obiettivo è di costruire un registro dei paesaggi storici, ognuno dei quali sarà certificato: questo marchio accompagnerà i prodotti, che potranno contare sulle loro qualità e anche sul valore che a essi si aggiunge perché provenienti da quel determinato paesaggio. Un paesaggio, però, che non va stravolto.
Bellezza e benessere, dunque. L’Osservatorio ha indetto una prima riunione un paio di settimane fa e per prima cosa sono stati definiti i criteri perché un paesaggio possa essere inserito nel registro. Criteri molto selettivi che coinvolgono Regioni e agricoltori. Con le Regioni, inoltre, è avviato un dibattito perché fra le voci che consentono agli agricoltori di ottenere gli incentivi della Pac (la politica agricola comuni-taria), che per il settennato 2014-2020 prevedono 21 miliardi di euro, c’è proprio la conservazione delle forme tradizionali di un paesaggio (prati e pascoli permanenti, per esempio, siepi e filari) e l’invito a non prediligere le monoculture, cioè le grandi estensioni con una sola coltivazione, che banalizzano i paesaggi rurali.
L’Osservatorio non parte da zero. Cinque anni fa è stato condotto uno studio che selezionava oltre un centinaio di paesaggi rurali storici, poi pubblicato da Laterza. Ha coordinato il lavoro Mauro Agnoletti, professore di agraria a Firenze e ora membro del comitato scientifico dell’Osservatorio (insieme, fra gli altri, a Giuseppe Barbera, agronomo palermitano, autore di molti libri, l’ultimo dei quali è Conca d’oro, edito da Sellerio; e Tiziano Tempesta, economista agrario, fra i più attivi misuratori del consumo di suolo nel suo Veneto). Regione per regione sono stati individuati e schedati i paesaggi storici. Dai piemontesi Alpeggi della Raschera alle colline vitate tra Tarzo e Valdobbiadene in Veneto; dalle Biancane della Val d’Orcia in Toscana ai Piani di Castelluccio in Umbria; dagli orti arborati delle colline di Napoli ai pistacchieti di Bronte, in Sicilia. Ne venivano raccontate le caratteristiche, i tratti rimasti integri nei secoli e le trasformazioni intervenute. Di questi paesaggi venivano indicate anche le vulnerabilità, che ancora dipendono dall’incedere del cemento, ma anche dall’abbandono, dal prevalere delle sterpaglie o dalla diffusione dei boschi e dai sistemi di conduzione tipici dell’agricoltura industriale.
In cento anni, dal 1911 a oggi, calcola Agnoletti, la superficie agricola si è ridotta da circa 22 milioni di ettari a poco più di 12 milioni, mentre quella boschiva è cresciuta da 4 milioni e mezzo a 11 milioni. La diversità delle tessere paesaggistiche si è andata riducendo sensibilmente a vantaggio di paesaggi più omogenei, quelli fissati dall’agricoltura industriale. Ma l’abbandono, l’assenza di manutenzione e la scomparsa di alcune forme di assetto agricolo, come i terrazzamenti, è anche causa di dissesti. Secondo Agnoletti, l’85 per cento delle frane avviene in terreni una volta terrazzati e laddove la vegetazione prevalente è arbustiva o boschiva.
«Il paesaggio agrario», spiega Agnoletti, «non è paragonabile a un monumento per il quale discutere se sia lecito darlo in uso a un privato per farci degli eventi. È una parte di territorio che può mantenere il suo valore se è in grado di produrre cibo o anche di fare turismo mantenendo i caratteri storici, estetici ed ambientali». Entro il primo marzo di ogni anno, si legge nel decreto, il ministero e le Regioni raccolgono e trasmettono all’Osservatorio le candidature per l’inserimento nel registro. Ed entro il 15 settembre l’Osservatorio decide, a maggioranza, se i paesaggi proposti sono meritevoli di entrare nell’elenco «in base all’origine, al valore storico, allo stato di conservazione, alla ricchezza di diversità bio-culturale e alle qualità estetiche ». Basta perdere una o più caratteristiche, basta una manipolazione grave, neanche uno scempio, e dal registro, però, si può anche uscire.
La Repubblica 18.02.14