«Abbiamo un problema solo: l’enorme abbondanza nel centrosinistra di persone d’altissima qualità», ammiccò Massimo D’Alema alla vigilia del voto del 1996. Non era così. E si sarebbe visto in fretta. Così come si vede oggi. Mica facile, allestire un governo all’altezza di guidare un Paese come l’Italia. Tanto più in tempi complicati come questi. E dopo anni e anni trascorsi, accusa Antonio Merlo della Penn University di Filadelfia, a costruire una Mediocracy. Cioè «un sistema che ha selezionato e promosso scientificamente una classe dirigente di basso profilo funzionale non al Paese ma al partito. Al leader. Al segretario».
Sta sbattendoci il naso, a quanto pare, lo stesso Matteo Renzi. Il quale, dopo avere fatto irruzione col piglio del condottiero predestinato a rapidi trionfi, starebbe già assaggiando la molliccia resistenza, una specie di impenetrabile gommapiuma, dei primi passaggi. Alla larga dai paragoni impropri, ma sembra di rivedere la baldanza del Cavaliere del ‘94 prima che si impantanasse: «Davvero pensa di chiudere sui ministri in pochi giorni?». «Santo cielo, ma quanto ci dovrei mettere? Per fare la lista che ho in mente mi basterà mezz’ora». Ci mise settimane.
Quale veridicità possano avere gli oroscopi circolanti sui nomi dei vari ministri non abbiamo idea. Meno delle previsioni del polpo Paul ai Mondiali in Sudafrica, probabilmente. Par di capire, però, che Renzi si sia già sentito dire vari «no» da uomini e donne di spessore sui quali sperava di basare l’«effetto annuncio» per lui essenziale dopo la brusca sterzata con cui si è impossessato del governo esponendosi a critiche e sberleffi, come il contrappasso dell’hashtag inventato per Letta: #matteostaisereno .
Chi mettere all’Economia per dare un fortissimo segnale di novità senza innervosire la Ue? Chi piazzare alla Giustizia, dov’è indispensabile una riforma radicale ma che non spacchi il Paese? Chi allo Sviluppo economico? Chi al Lavoro? È la sua condanna: ha un disperato bisogno di figure d’eccellenza. Possibilmente «nuove». Pronte a gesti di rottura. Ma abbastanza esperte da non diventare subito schiave degli espertissimi capi di gabinetto. Ma dove scovarli?
Il guaio è che lui stesso, che ha costruito buona parte della sua svelta scalata al Palazzo proponendosi come un’alternativa al vecchio sistema, si ritrova ora a fare i conti con la diffidenza di chi, venendo da altri pianeti professionali, è restio a farsi coinvolgere in un mondo che ha già inghiottito, masticato e sputato un bel po’ di «tecnici» entrati in questo o quel governo con curriculum sfavillanti e usciti come scarti: «Pareva tanto bravo…». Per non dire del traumatico ridimensionamento di qualche sindaco proiettato ai vertici e ben presto demolito.
Dura la vita, per chi è insieme artefice e vittima di attese messianiche. Eppure tutto il Paese, anche chi non lo voterebbe mai e magari non apprezza i suoi modi spicci, deve augurarsi che Renzi ce la faccia. Che trovi le persone giuste e le metta al posto giusto. Non possiamo permetterci di galleggiare all’infinito finendo per essere governati, tra i tormenti della politica, da potentissimi burocrati che troppo spesso hanno dato mostra di avere un obiettivo che non coincide con quello dell’Italia: il rinvio di ogni vera riforma.
Il Corriere della Sera 17.02.14