Malfgrado il suo aspetto formalmente del tutto definito, il testo digitale è permanentemente e intrinsecamente instabile.
(da “Presi nella rete” di Raffaele Simone – Garzanti, 2012 – pagg. 91-92). Con il suicidio della quattordicenne padovana, perseguitata dagli insulti e dalle volgarità su un social network che non merita neppure di essere nominato, è stato raggiunto ormai un punto di non ritorno. Un’invalicabile linea di confine tra la libertà di espressione e la violenza verbale, tra la convivenza civile e la barbarie. E ha fatto più che bene perciò la presidente della Camera, Laura Boldrini, a lanciare nei giorni scorsi un richiamo alla responsabilità e un appello contro il cyber-bullismo.
Ora, prodotta tutta la letteratura sociologica e psicoanalitica del caso, bisogna passare alle soluzioni concrete e alle norme di legge. La Rete, come qui abbiamo già detto altre volte, è libertaria e anarchica per sua natura: e queste sue caratteristiche vanno rispettate e salvaguardate. In particolare, i social network sono un luogo virtuale di dibattito e di confronto che si configura legittimamente come una moderna agorà informatica.
Ma c’è un limite anche all’esercizio della libertà individuale. Ed è il rispetto per la libertà altrui: quindi per diritti fondamentali come la tutela della persona-lità, dell’onore e della reputazione. Troppo spesso, invece, la comunicazione sul web — favorita dall’immediatezza degli strumenti e dalla stessa rapidità del linguaggio — degenera in risse mediatiche, in attacchi e aggressioni o addirittura in campagne d’odio, compromettendo la funzionalità e la credibilità della Rete.
Occorre, dunque, una normativa adeguata ai tempi e alle modalità di questa comunicazione che non mortifichi o non imbavagli il web, ma stabilisca e garantisca il rispetto di alcune regole basilari. Sono proprio questi gli obiettivi del disegno di legge a cui stanno lavorando due deputati del Pd, Alessandra Moretti e Francesco Sanna, dopo i gravi abusi subiti dalla prima che recentemente s’è vista violare il proprio account di posta elettronica e anche quello di Twitter: “Rendere la rete uno spazio né di anomia né di censura, in cui cioè si promuovano i diritti e le libertà e non invece la violenza, l’ingiuria, la discriminazione (soprattutto nei confronti dei soggetti fragili)”.
Il primo criterio a cui ispirarsi non può che essere quello indicato autorevolmente da Stefano Rodotà, uno dei nostri giuristi più democratici e garantisti: ciò che è illegale offline dev’essere illegale anche online. Se una norma vale per la carta stampata, per la radio e per la televisione, vale necessariamente anche per Internet. Sia che si tratti di ingiuria, di calunnia o diffamazione, sia che si tratti di altre fattispecie di reato. E ciò, naturalmente, sul piano penale ed eventualmente su quello civile.
In secondo luogo, è necessario sancire anche in questo campo il “principio di responsabilità”. Ognuno è responsabile degli atti che compie come delle parole che pronuncia pubblicamente o che scrive e dei giudizi che esprime. Nella sua massima autonomia, la Rete non può diventare un’area off limits,
il regno dell’impunità, una “zona franca” per abusare della propria libertà a danno di quella altrui.
A questo proposito, la proposta di legge Moretti-Sanna prevede opportunamente di mantenere l’attuale regime di “anonimato tracciabile”: vale a dire la possibilità di restare anonimi, a condizione però che all’occorrenza l’autore del post o del tweet sia identificabile da parte della magistratura e della polizia postale. Né più né meno di quello che si fa da sempre per le lettere ai giornali, laddove chi pubblica deve conoscere nome e cognome di chi scrive e chiede di restare anonimo. Altrimenti, si rischia che l’irresponsabilità generi, appunto, istigazione all’odio e alla violenza.
Nella comunicazione sul web, tuttavia, non sempre l’identificabilità dell’autore coincide con quella dello strumento utilizzato: pc, tablet, smartphone e telefonini vari possono essere usati, anche occasionalmente, da altre persone diverse dai rispettivi proprietari. I testi digitali, come osserva l’autore del libro citato all’inizio, sono “intrinsecamente instabili”. E allora, con l’aiuto della tecnologia, converrà introdurre o rafforzare codici di accesso e password personalizzate, in modo da individuare l’utente effettivo di un certo device in quel determinato momento.
Per concludere: la filosofia del Diritto insegna che in un regime democratico la legge non serve a imporre coercitivamente modelli di comportamento, ma a codificare quelli che maturano nella coscienza collettiva e di conseguenza a indurli. Anche in questo caso c’è alla base una questione di cultura e di responsabilità. Ma, in difesa della funzione sociale della Rete, il legislatore è chiamato ora a sanzionare e impedire gli abusi di alcuni per garantire la libertà di tutti.
La Repubblica 15.02.14