È stato un giorno di eccitazione ieri per i professionisti del complotto, per coloro che prosperano spacciando come trame occulte ciò che qualunque cittadino può vedere ad occhio nudo. Leggere le invettive congiunte di Maurizio Belpietro e di Marco Travaglio contro Giorgio Napolitano, nel loro mix di tragicità e di comicità involontaria, è istruttivo per comprendere il degrado del nostro dibattito pubblico. Che si è infiammato dopo la «rivelazione» di Alan Friedman sul colloquio riservato del Capo dello Stato con Mario Monti nel giugno del 2011, nonostante questa fosse la non-notizia più clamorosa dell’anno: ogni giornale allora scriveva del professor Monti come del candidato più accreditato alla successione di Berlusconi, nel caso, assai probabile, di un collasso del governo di centrodestra. E la consultazione di Napolitano era banalmente un dovere: sarebbe stato criticabile se non l’avesse fatta. Anzi, diamo un consiglio ai complottisti all’amatriciana: è probabile che Napolitano abbia avuto contatti con Monti anche nell’autunno del 2010, quando si consumò la rottura tra Berlusconi e Fini, e il governo del Cavaliere fu sul punto di cadere la prima volta. Del resto, la Costituzione assegna al Capo dello Stato il compito di indicare il presidente del Consiglio. E i professionisti del complotto farebbero bene a ricordare che un governo, per entrare nelle pienezza dei poteri, ha bisogno della fiducia del Parlamento. Solo chi considera i parlamentari e i leader di partito come bambini immaturi e un po’ scemi può esentarli dalle responsabilità che si assumono con il voto. Se è nato il governo Monti, e poi quello di Letta, il presidente della Repubblica non ha (secondo Costituzione) una responsabilità politica: l’intera responsabilità è di chi ha votato questi governi.
Invece Belpietro scrive su Libero che Napolitano ha ordito una trama indicibile, cercando nientemeno di capire in anticipo se l’eventuale crollo di Berlusconi avesse trascinato con sé la legislatura: «Il Capo dello Stato ha messo la Costituzione sotto i piedi, sottraendo agli italiani il potere di decidere da chi essere guidati». Verrebbe da chiedere a Belpietro: forse nel feroce complotto contro se stesso c’era anche Berlusconi, visto che il suo voto è stato determinante per la nascita del governo Monti. Ma a sostegno del complotto accorre anche Travaglio: il presidente della Repubblica «non ha mai esitato a travolgere le regole costituzionali», «s’è autonominato Badante della Nazione e ha perseguito scientificamente il suo disegno politico a prescindere dal voto degli italiani, e sovente addirittura contro di esso». L’accusa è di aver spinto sempre per le larghe intese, sin da quando il governo Prodi andò in affanno nella legislatura 2006-2008. Ma anche in questo caso tutto è stato trasparente: altro che complotti! Il presidente della Repubblica, nelle tre legislature che ha attraversato, ha sempre cercato di evitare le elezioni anticipate all’indomani dei fallimenti del centrosinistra o del centrodestra. E ha cercato di proporre larghe intese per riformare le regole del gioco prima di un nuovo voto. L’ha detto pubblicamente, ripetutamente. Il teorema di Travaglio è smentito proprio dalle libere scelte del Parlamento. Dopo la caduta di Prodi, né Berlusconi né Casini consentirono un secondo governo di legislatura. Dopo la caduta di Berlusconi, invece l’incaricato di Napolitano (cioè Monti) ottenne la maggioranza. E così Enrico Letta dopo il tentativo di Bersani.
Ovviamente si può criticare ogni singola scelta. Ma si critichino i partiti. Di quale complotto istituzionale straparlano Belpietro e Travaglio? «Appare evidente – sentenzia Belpietro – che si è trattato di un grave attentato agli organi costituzionali di questo Paese… Se questo non è alto tradimento, che cos’altro lo è?». Travaglio, a dire il vero, ha provato qualche imbarazzo nel festeggiare la piena concordia sull’impeachment tra il berlusconismo servile e il grillismo delirante. A un certo punto ha detto in modo grottesco che dei complotti Berlusconi ha anche beneficiato (se no che complotti sarebbero?). Poi, comunque, ha concluso l’editoriale su il Fatto, sostenendo che l’impeachment potrebbe essere «uno strumento persino riduttivo». Purtroppo non c’è limite all’estremismo parolaio. Il dramma è che, confondendo istituzioni e scelte politiche, strumentalizzando la Costituzione, si derubano i cittadini proprio mentre si promette loro un risarcimento.
da L’Unità