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"Il branco virtuale", di Gabriela Romagnoli

SE UNA ragazza di 14 anni si uccide buttandosi dal tetto di chi o che cosa è la responsabilità? Della sua fragilità mentale? Di chi l’ha incitata a farlo dietro il lurido velo dell’anonimato?
Di due fratelli lettoni che, tra tante cose che potevano inventarsi, hanno creato un social per adolescenti dove ogni cosa può essere detta senza lasciare firma? A seconda delle opinioni (o del coinvolgimento) si attribuiranno percentuali diverse a questi tre fattori. Resta una differenza di fondo: tra le cose inevitabili e quelle superflue, tra il percorso ordinario e già di per sé dolente della vita e la straordinaria crudeltà che aggiunge la mano umana a quella del destino.
Partiamo dall’ultimo fattore: il sito Ask.fm. Lo hanno creato i fratelli Tarabin, ha un’utenza quasi esclusivamente compresa fra i 13 e i 18 anni e una particolarità: chi risponde alle domande (di qui il nome) immesse sul profilo lo può fare in maniera totalmente anonima. La differenza tra un post firmato (anche con pseudonimo) e uno anonimo è la stessa che correva fra una lettera con o senza mittente. Nel primo caso si scrive per comunicare, nel secondo per fare del male. Chi ti vuol parlare ci mette il nome o il volto, chi ti vuole offendere si nasconde. Ora, Internet è la più grande fonte di libertà creata negli ultimi cinqunt’anni. Nonché, di idiozia. È il vaso di Pandora che ha scatenato le pulsioni migliori (“cambiamo il sistema”) e le peggiori (“ucciditi, inutile grassone”). A spostare l’ago dal primo al secondo uso è la progressiva assenza di filtro. Creare un sito che ne rifugge era un’idea evitabile. Poco prima di scrivere questo articolo, seduto su una poltrona d’aereo, nell’indolenza di un viaggio intercontinentale ho guardato un documentario sull’invenzione del cellulare. Tra i momenti chiave si risaliva alla scoperta di Hedy Lamarr, un’attrice austriaca, fuggita dal marito e dal nazismo. Considerata a quel tempo la donna più bella del mondo, era anche una scienziata e, osservando il movimento dei tasti del pianoforte, inventò il salto di frequenza che, usato inizialmente per fini militari, è alla base delle comunicazioni satellitari. Ora, non so se i fratelli Tarabin siano bellissimi, né che cosa pensino del totalitarismo, ma ci sono creazioni volte al bene, altre inutili e altre ancora che possono fare soltanto del male. Lo si intuisce al volo, non occorre sperimentarle.
Ask.fm è tra queste ed era chiaro prima che i fatti lo dimostrassero. A dire che certi spazi nella rete andrebbero tappati si è tacciati spesso di illiberalismo, per lo più da persone che si esprimo in forma anonima o con pseudonimo. Eppure se la risposta alla domanda “A che cosa serve?” è “A eccitare istinti malvagi”, le conseguenze non dovrebbero essere in discussione. Dopodiché, la rete è una rete: tappi un buco e se ne apre un altro.
Il secondo fattore, la violenza verbale dei giovani senza volto, si scatena con la stessa naturalezza con cui da un rubinetto esce l’acqua. Per quella fisica occorre ancora un coraggio, per questa basta la viltà. Se possibile, il branco virtuale fa ancora più ribrezzo di quello reale. Se ne sta lì, nella stanzetta, a caricare immagini rubate con il cellulare, fotografie degradanti, didascalie offensive. La conosciamo tutti, per averla vissuta, la ferocia dei quindici anni. Per averla patita o, giù la maschera, condivisa. Non possiamo stupirci quando si manifesta. Basta darle una opportunità, una cantina buia, un sito anonimo.
Si può resistere? Certo che sì. Avendo spalle larghe e anima forte. La ragazzina che si firmava Amnesia non possedeva né le une né l’altra. Era debole. Un insulto su Internet non è una spinta dal tetto, è un soffio. Eppure ha lo stesso effetto per chi non sa reagire. Il che non è una colpa grave, il resto sì.

da la Repubblica