L’università italiana non perde solo studenti, ma anche docenti. Ne ha persi oltre 9mila negli ultimi 6 anni e da qui al 2018 – a bocce ferme – ne perderà altri 5mila. A conti fatti sono 15mila prof in meno in dieci anni: in pratica ogni anno tra ordinari e associati se ne vanno in 1500. Un buco nero che rischia di rendere ingovernabile l’università. Le stime sono del Cun, il Consiglio universitario nazionale – l’organo consultivo del ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca – che nei giorni scorsi ha inviato una raccomandazione al ministro Maria Chiara Carrozza per chiede il «finanziamento di un piano straordinario per la chiamata di professori di seconda fascia» da 100 milioni. Un piano che secondo il Cun avrebbe un «effetto virtuoso» su tutto il sistema.
Un piano straordinario contro l’emorragia di docenti
Se tutto filerà liscio, dopo i tanti rinvii legati all’abilitazione introdotta dall’ex ministro Gelmini, quest’anno dovrebbe finalmente scattare il reclutamento di 5mila professori di seconda fascia (gli associati) «in gran parte – ricorda la raccomandazione – provenienti dalle posizioni dei ricercatori ora inquadrati nel ruolo a esaurimento». Nuovi ingressi questi che però non bastano perché «il fabbisogno di personale del sistema universitario – aggiunge il Cun – che negli ultimi 6 anni ha perso oltre 9mila professori, di prima e seconda fascia, resta tuttavia ancora largamente insoddisfatto». Da qui la richiesta di una seconda tornata del piano straordinario con l’obiettivo di reclutare a fine 2015 4-5mila prof di seconda fascia «con un impegno stimabile in circa 100 milioni a partire dal 2016». Un piano questo che avrebbe anche l’effetto virtuoso di liberare le risorse del turn over per reclutare nuovi giovani ricercatori ma anche professori ordinari.
Il rischio di una università senza governo
Il Cun sempre nella sua raccomandazione ricorda che solo per quanto riguarda gli ordinari nel 2017 sarà in servizio solo la metà di coloro che lo erano nel 2007 (11mila contro 20mila di dieci anni prima). Nel 2018 l’università italiana, se si calcola la prima tranche di assunzioni, raggiungerebbe quota 30mila tra ordinari e associati. troppo pochi. La causa di questa emorragia è dovuta soprattutto alle limitazioni al turnover degli atenei. Introdotte nel 2008 sono state accompagnate da una riduzione dei fondi alle università di circa 500 milioni in 5 anni. Le regole sono state poi ritoccate più volte in un continuo gioco al ribasso: prima modificando le norme sul reclutamento dei docenti (ad opera della Gelmini), poi introducendo nuovi e ancor più stringenti vincoli di bilancio per gli atenei. E lungo la stessa rotta si è mosso anche il governo Letta, posticipando al 2018 il momento in cui sarà possibile tornare al rapporto 1:1 tra chi va in pensione e chi viene assunto.
da www.ilsole24ore.it