Oggi il Movimento 5 Stelle attacca il presidente della repubblica e ne chiede la messa in stato d’accusa anche (e oggi soprattutto) per il ruolo svolto nella nascita del governo Monti. Eppure in quell’estate del 2011 era proprio il diarca genovese del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo, a chiedere a Napolitano di intervenire in una lettera pubblicata sul suo blog il 30 luglio 2011. Eccola:
«Spettabile presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, quasi tutto ci divide, tranne il fatto di essere italiani e la preoccupazione per il futuro della nostra Nazione. L’Italia è vicina al default, i titoli di Stato, l’ossigeno (meglio sarebbe dire l’anidride carbonica) che mantiene in vita la nostra economia, che permette di pagare pensioni e stipendi pubblici e di garantire i servizi essenziali, richiedono un interesse sempre più alto per essere venduti sui mercati. Interesse che non saremo in grado di pagare senza aumentare le tasse, già molto elevate, tagliare la spesa sociale falcidiata da anni e avviare nuove privatizzazioni. Un’impresa impossibile senza una rivolta sociale. La Deutsche Bank ha venduto nel 2011 sette miliardi di euro dei nostri titoli».
«È più di un segnale: è una campana a martello che ha risvegliato persino Romano Prodi dal suo torpore. Il Governo è squalificato, ha perso ogni credibilità internazionale, non è in grado di affrontare la crisi che ha prima creato e poi negato fino alla prova dell’evidenza. Le banche italiane sono a rischio, hanno 200 miliardi di euro di titoli pubblici e 85 miliardi di sofferenze, spesso crediti inesigibili. Non sono più in grado di salvare il Tesoro con l’acquisto di altri miliardi di titoli, a iniziare dalla prossima asta di fine agosto. Ora devono pensare a salvare sé stesse».
«In questa situazione lei non può restare inerte. Lei ha il diritto-dovere di nominare un nuovo presidente del Consiglio al posto di quello attuale. Una figura di profilo istituzionale, non legata ai partiti, con un l’unico mandato di evitare la catastrofe economica e di incidere sulla carne viva degli sprechi».
«Ricordo, tra i tanti, l’abolizione delle Province, i finanziamenti pubblici ai partiti e all’editoria e le grandi opere inutili finanziate dai contribuenti, come la Tav in Val di Susa di 22 miliardi di euro. Gli italiani, io credo, sono pronti ad affrontare grandi sacrifici per uscire dal periodo che purtroppo li aspetta, ma solo a condizione che siano ripartiti con equità e che l’esempio sia dato per primi da coloro che li governano. Oggi non esiste purtroppo nessuna di queste due condizioni».
«In un altro mese di luglio, nel 1943, i fascisti del Gran Consiglio, ebbero il coraggio di sfiduciare il cavaliere Benito Mussolini, l’attuale cavaliere nessuno lo sfiducerà in questo Parlamento trasformato in un suk, né i suoi sodali, né i suoi falsi oppositori. Credo che lei concordi con me che con questo governo l’Italia è avviata al fallimento economico e sociale e non può aspettare le elezioni del 2013 per sperare in un cambiamento. In particolare con questa legge elettorale incostituzionale che impedisce al cittadino la scelta del candidato e la delega invece ai partiti. Queste cose le conosce meglio di me. Lei ha una grande responsabilità a cui non può più sottrarsi, ma anche un grande potere. L’articolo 88 della Costituzione le consente di sciogliere le Camere. Lo usi se necessario per imporre le sue scelte prima che sia troppo tardi. Saluti. Beppe Grillo».
Questi i fatti. Il Presidente venne tirato in ballo, in quella difficilissima estate, proprio da chi oggi ne lamenta l’eccessivo protagonismo.
da www.europaquotidiano.it
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“E meno male che c’era Napolitano”, di Stefano Menichini
Altro che golpe. La vera storia dell’estate 2011 parla di un paese non governato e di un Berlusconi senza idee, consenso e credibilità. Ora si può discutere la scelta di Monti, l’alternativa era la catastrofe.
Da tutto questo polverone sollevato intorno e contro il Quirinale solo tre cose emergono come rilevanti. La prima è la conferma dell’ingenuità di Mario Monti e dell’errore commesso a suo tempo nell’investire tanto su di lui. La seconda è il disperato bisogno di Forza Italia di marcare stretto Beppe Grillo, fino a confondersi con lui, con le sue battaglie, con i suoi toni, perfino con le sue fantasiose iniziative parlamentari. La terza è la scarsa memoria di un paese che sembra ogni giorno voler riscrivere la propria storia di un foglio bianco, evitandosi la fatica e la pena di ricordare i passaggi cruciali della crisi nazionale.
Allora magari servirà anche a qualcosa, questo “scandalo Friedman” sollevato dal Corriere della Sera: a dare ancora maggior valore e merito al presidio di lucidità, integrità e senso della responsabilità rappresentato in questi anni da Giorgio Napolitano.
Basta andarselo a riguardare tutto, il film di maggio, giugno e luglio 2011: la vigilia del precipizio. Altro che golpe, come strepita Brunetta sempre più somigliante ai peones grillini con i quali infatti fa comunella.
Nel giugno 2011 l’Italia politica parla solo e soltanto della irrimediabile crisi di credibilità del governo Berlusconi. Lui fa di tutto per dar ragione a chi pensa che dovrebbe mollare la poltrona sulla quale è inutilmente inchiodato. Mentre i dati economici nazionali crollano, al G8 di Deauville sbalordisce i leader mondiali avvicinandosi a Obama e agli altri per denunciare «la dittatura» che sarebbe ormai diventata l’Italia dei giudici. L’Europa sollecita una manovra correttiva da 40 miliardi di euro che Tremonti fatica a imporre, in una versione edulcorata, in consiglio dei ministri. Napolitano chiede alle opposizioni di collaborare in parlamento: emendare, correggere, non aggredire una maggioranza che potrebbe collassare. Loro lo fanno. Durante il dibattito alla camera il premier si addormenta ripetutamente: è un uomo in caduta libera. Si scrive apertamente di ipotesi di governi tecnici, o “del presidente”. Intanto anche gli elettori dicono la loro, ad alta voce: alle comunali di fine maggio il centrosinistra fa cappotto, da Milano a Napoli, da Torino a Trieste a Cagliari; a metà giugno i referendum vengono letti da tutti i commentatori come un plebiscito contro il governo che ha puntato sul mancato quorum. Quel «consenso popolare» di cui si parla oggi allora era già evaporato.
Tutto questo prima dell’esplosione dello spread. Che sarà nient’altro che l’inevitabile voto di sfiducia da parte della comunità internazionale nei confronti di un paese palesemente non-governato.
Fu una manovra? Un colpo di stato? Fu una vera emergenza nazionale, diciamo meglio. Nel pieno della quale, per fortuna, l’Italia ebbe a palazzo Koch e al Quirinale chi tenne la testa a posto. Rileggete cronache e commenti: sono Draghi e Napolitano che cercano di raffreddare la crisi e svolgono un enorme lavoro di supplenza rispetto a un governo che non esiste già più da tempo. Verranno poi la lettera della Bce, l’incapacità di rispondervi in maniera adeguata, la paura, l’avvitamento di Berlusconi che lascia campo libero alle ingerenze franco-tedesche. Infine la resa di novembre. Tardiva. E l’avvento di Mario Monti.
Napolitano ha predisposto tutto ciò in spregio della democrazia e della sovranità popolare? Ma per favore. Il centrodestra teneva l’Italia in ostaggio grazie alla blindatura di un parlamento – ne abbiamo la conferma oggi – eletto con un sistema anticostituzionale di cui Berlusconi e Bossi erano stati ideatori e beneficiari. Era lì che si consumava lo spregio della democrazia, col sovrappiù della incompetenza e della irresponsabilità di chi si guardava intorno e vedeva soltanto «ristoranti affollati e charter per le vacanze pieni».
Poi si può discutere del rimedio. Che allora venne considerato da tutti salvifico, anche dal Pd che si inchinò mal volentieri a Napolitano, a Monti e alle larghe intese. Ma la storia che comincia nel novembre 2011, e che in qualche modo dura tutt’oggi, è la storia di un affannoso tentativo di salvataggio da parte di un pezzo di establishment che non poteva più fidarsi e affidarsi alla “normale” dialettica politica.
Di questa storia Monti è stato protagonista: forte nelle sue competenze, convinzioni e credenziali europeiste; debole nella sua improvvisata ambizione politica e nella sua vanità personale. Se i partiti hanno poi potuto almeno provare (senza riuscirci) a riprendere le redini della situazione, è soprattutto grazie alla transizione montiana, a quelle parziali e contestate riforme che, guarda caso, sono state al massimo corrette ma non revocate da nessuno.
Oggi l’era dei governi tecnici ci appare deleteria. Siamo anche già esausti dell’era delle larghe e delle medie intese. Il Pd è di nuovo a rischio di compiere scelte emergenziali, invece di percorrere la via maestra della conquista del consenso popolare. Napolitano, suo malgrado, è ancora nella cabina di comando della crisi italiana.
Tutto e tutti sono criticabili. La storia però va lasciata agli storici. I reati ai magistrati e i segreti agli occultisti. La vicenda politica dell’estate 2011 è fin troppo chiara, trasparente, comprensibile, e ci rammenta senza equivoci una cosa sola: quale disastro sia stato, e sarebbe ancora, consegnare questo paese nelle mani della destra di Silvio Berlusconi.
da www.europaquotidiano.it