Tra bolle e malpancismi quando la politica scopre la psicosomatica. Dal Cavaliere a Renzi, le parole del potere
Immerso e in qualche modo impantanato come tutti gli altri protagonisti della politica in uno stagno di metafore ad alto impatto, Matteo Renzi ha detto ieri che al solo sentire parlare di rimpasto gli «vengono tutte le bolle» e allora scappa a Firenze, «in mezzo alla gente. Il valore terapeutico e anzi salvifico della “gente” ha messo in secondo piano entità, tipologia e conseguenze pratiche di dette bolle. Ma è chiaro che l’immagine era intesa a proclamare nel modo più netto la sua totale e persino patologica incompatibilità con quell’antica formula politichese.
Curioso e paradossale, semmai, è che più gli odierni leader si sforzano di tenersi lontani da rimpasti, vertici, verifiche, staffette, appoggi esterni e altri vetusti attrezzi da Prima Repubblica e meno questo squalificante armamentario sembra disposto ad abbandonare il campo, anzi. Come mai?
Una possibile risposta è che la politica resta pur sempre “l’arte di far credere” (Hannah Arendt). Ma poiché il discorso pubblico della Seconda Repubblica, come del resto l’immaginario che le fermenta nella pancia, tende drammaticamente a ripetersi, dagli e dagli s’affaccia anche il temerario dubbio che forse le bolle e altri sintomi accampati per distogliere da sé qualche sospetto, o garantire un profilo più smagliante, ecco, siano meno metaforiche di quanto si sarebbe portati a immaginare.
Per cui, sì, è un modo di dire che davvero non lo vuole, questo benedetto rimpasto. E tuttavia evocando le bolle, magari Renzi le esorcizza sul serio. O saranno eventuali macchioline, pusto-lette, foruncoli, afte, brufoli, fuochi di Sant’Antonio, nessuno ovviamente si sogna di pretendere da lui, come da qualsiasi altro capo politico, resoconti precisi o puntuali al riguardo, tanto più se si considera che gli unici seri paletti piantati dalla normativa sulla privacy all’informazione riguardano, oltre agli orientamenti sessuali, lo stato di salute delle persone.
Quindi pace e bene. Ma in un tempo in cui il corpo dei leader ha sostituito idealità e progetti, la psicosomatica del potere, e quindi l’interconnessione tra disturbi fisici reali e possibili cause di origine psichica, ha tutta l’aria di configurarsi come una faccenda non così campata in aria.
Certo, dipende anche dal tipo di stress. Un conto è una possibile verifica, si capisce, o un eventuale rimpasto. Tutt’altro peso, per dire, può assumere la tensione prolungata e il senso di colpa; da questo punto di vista solo Francesco Cossiga ha avuto l’onestà di attribuire pubblicamente al caso Moro i capelli divenutigli bianchi prima del tempo e una malattia alla pelle delle mani.
Quando il Pci cambiò nome — altro esempio di rilievo — migliaia di militanti entrano certamente in una sofferenza emotiva che durò un anno e più. Non per caso, proprio in quel frangente entrò nel lessico politico l’espressione “mal di pancia” — e “malpancisti” si qualificarono quanti con indubbio disagio non si riconoscevano nelle due mozioni.
Il desiderio frustrato, l’attesa disperante di una poltrona, la depressione per la sua perdita, si muovono anch’essi lungo questo delicato orizzonte, anche se è impossibile non solo stabilire rapporti di causa-effetto a livello fisico. Di solito chi comanda tende a ingrassare. L’altro giorno un rotocalco ha maliziosamente pubblicato una foto di Renzi evidenziandone con un cerchio la pancetta. Ma molto gioca nel suo caso l’invidia per la giovane età. Altri leader anziani vivono perennemente scortati da medici fiduciari, di solito prontamente beneficiati con incarichi pubblici, gettoni e seggi e rispetto.
Ma per tornare ai pretesi e conclamati sfoghi epidermici, tra le mille e mille elucubrazioni che questo tempo bizzarro stimola e al tempo stesso lascia disperdere, ce n’è una che tra potere e prurito stabilisce un nesso tanto saldo quanto misterioso. O almeno, non si ha idea di quanti potenti siano disposti a mostrare una così acuta sensibilità in proposito.
Per dirla tutta. Ciò che ieri ha evocato Renzi dinanzi alla pur remota prospettiva di un rimpasto, altre due volte (2003 e 2004), era stato detto da — indovina — Berlusconi. Solo che al posto delle generiche “bolle” paventate dal giovane segretario del Pd, l’anziano capo del centrodestra aveva denunciato il rischio di prendersi l’”orticaria”.
In tal senso la benemerita Wikipedia offre diverse varianti del pruriginoso disturbo che procura macchie e bollicine di nome “pomfi”. Esistono in effetti l’orticaria ereditaria, colinergica, da contatto, da pressione, da allergia alimentare, da puntura di insetto, da polline e — ebbene sì — pure da stress emotivo.
Ed eccoci di nuovo. Non si coglie qui l’occasione — troppo facile — per concludere che Renzi e Berlusconi dicono le stesse cose e hanno le medesime idiosincrasie, anche a livello psicosomatico. Ma solo perché questa battuta della presunta orticaria è fiorita sistematicamente in bocca a quasi tutti gli altri leader, da Fini a D’Alema, da Bossi fino a Maroni.
Insomma piace molto a tutti e la trovano assai convincente. Nel frattempo sono anni che non si parla che di rimpasti e verifiche e altre cose per lo più inutili e al tempo stesso evidentemente necessarie, ancorché urticanti. Del resto l’erba cattiva non muore mai.
da la Repubblica