La politica cambiata dallo streaming sempre in bilico tra realtà e finzione. E il Pd si interroga se rimandare in diretta la direzione
Interrogativo prima del tempo, ma a futura memoria: verrà trasmessa in streaming anche la prossima riunione della direzione del Pd? L’ex presidente del partito Cuperlo ha infatti posto la questione se il prossimo 20 febbraio, data fatidica per le sorti del governo Letta, sia opportuno discutere in diretta web.
SECONDO lui no perché lo streaming «limita» il confronto. Renzi gli ha risposto in modo problematico: «Vediamo poi». Il segretario ha comunque offerto la sua disponibilità a discutere in una «logica di trasparenza. Io non ne ho mai lesinato ». Ed è vero.
Ma è pure vero che lo stesso Renzi, sempre nella replica, è tornato sull’argomento, sia pure per attaccare in modo abbastanza colorito i parlamentari cinquestelle che «partiti dallo streaming anche al bagno, ora si nascondono, non danno indicazioni e sono arrivati al voto segreto».
Pure in questa parabola c’è un fondo di vero. Li si è visti sdegnosamente in azione contro il povero Bersani; poi anche in un faccia a faccia con Letta, e in quel caso gli andò meno bene – anche se non esistono criteri oggettivi, si giudica per impressioni e suggestioni, ognuno guarda e poi la pensa come vuole.
Ma finora, nonostante i proclami sulla chiarezza e la limpidità della politica M5S, gli utenti della rete non hanno mai avuto il piacere di assistere non si dice a qualche bella litigata interna con strilli e tutto il resto, che pure ci sono state, ma anche solo a un incontro fra i parlamentari e i loro amatissimi Grillo & Casaleggio. Magari prima o poi accadrà, la speranza essendo l’ultima a morire, però intanto questa storia dello streaming qualche sintomatico spunto lo solleva.
Il primo riguarda i numeri, cioè il bacino di fruizione che riguarda la politica. Secondo calcoli necessariamente approssimativi, l’ultima direzione del Pd è stata cliccata, e quindi in qualche modo seguita, da circa 50 mila individui (20 mila solo su
Repubblica. it).
Il secondo, non necessariamente più frivolo in un’epoca di visioni a distanza, ha
a che fare con le forme estetiche dello streaming, che paiono ancora abbastanza antiquate e bruttine, l’audio spesso incerto, una sola telecamera fissa, riprese che trasmettono allo spettatore un senso di rigidità confinandolo in un angolo visuale come in una gabbia.
Ma il punto ancora più rilevante riguarda – anche se l’espressione è impegnativa – il coefficiente di verità di questo strumento; e dunque la sua influenza sulla politica. La modifica? La inquina? La distorce? E i suoi leader? Gli impone per caso una recita mutandone le azioni e il linguaggio? Il dubbio, in altre parole, è che sotto gli occhi di un pubblico immaginato, questi leader smettano di essere se stessi – il che francamente qualche problemino solleva.
Perché da sempre il potere ha bisogno di riserbo, se non di segreto. Con qualche ragione, dopo il tragico meeting Bersanicinquestelle, si è detto che in streaming i presidenti di Usa e Urss non avrebbero mai risolto la crisi dei missili di Cuba; né mai, s’è aggiunto, negli anni 70 si sarebbe firmato il contratto dei metalmeccanici da parte di Lama e Agnelli.
Ma non esiste, o non esiste ancora una fenomenologia dello streaming. Così ad esempio nella penultima direzione del Pd, mentre parlava il turbo-segretario, Cuperlo si è praticamente dimesso da presidente: in diretta e coram populo, come si è capito dalla sorpresa e dalle parole di Renzi. Questo spingerebbe a considerare lo streaming un propulsore di reattività.
Mentre nell’ultima direzione quello stesso dispositivo ha funzionato come una specie di narcotico, Renzi e Letta sembravano le ombre di loro stessi e il dibattito è tornato ad essere quello di sempre, anzi pure un po’ peggio: noioso, stantio, ipocrita e reticente fino all’indecifrabilità.
Vero è oggi i leader paiono ormai prigionieri di una particolarissima condizione esistenziale, per cui «si sentono ripresi anche quando non lo sono – come è stato detto – e sono ripresi anche quando non lo sanno». Così come, tanto nel mondo del potere quanto in quello della tv (reality e talent), si è venuta a creare un’ampia zona che non è né vera né fasulla.
Ha scritto già nel 2001 Marc Augé: «In questo senso la realtà è diventata finzione; ma deve essere chiaro che questa finzione non è del tutto menzognera, né del tutto inventata, anche se l’immagine resta ingannevole: non facendo vedere tutto, non dice nulla; e non dicendo tutto, non mostra nulla». E’ un po’ difficile, e anche di più tornare adesso al Pd; ma in fondo, dietro all’astruso teorema, si intravede la croce, la delizia e magari, all’occorrenza, perfino un po’ l’eterogenesi dello streaming.
da la Repubblica