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"La sinistra conservatrice e la pazza idea ventilata a Renzi", di Jacopo Iacoboni

Dopo una settimana tutta assurda, mentre accennano a placarsi le follie – ma non l’ansia dei media di stigmatizzare, un’ansia che fa il pendant e il gioco di quelle follie – conviene fermarsi un istante a chiedersi a che punto sia la battaglia politica di Matteo Renzi.

A neanche due mesi dall’insediamento, e di fatto in un solo mese di lavoro, il nuovo segretario del Pd sta probabilmente per incassare (salvo sorprese sempre possibili) una legge elettorale che si voleva da anni, e un pacchetto di riforme che altri leader del centrosinistra hanno cercato (ma le cercavano davvero?) invano per quasi due decenni. Sulla legge si può discutere: brutta l’assenza delle preferenze, ed è un problema che peserà; discutibili, assai, anche le liste corte, evidente soluzione di compromesso; ma non è un Porcellum per un ragione di fatto: il Porcellum assicurava ingovernabilità certa, questa legge un governo dovrebbe riuscire a darlo. Le soglie sono state decorosamente riallineate per evitare uno squilibrio eccessivo nella rappresentanza. L’obiezione di aver dialogato con Berlusconi appare del tutto sballata (specie se proviene da chi con Berlusconi ha fatto un governo). Nel frattempo non è in partenza affatto negativo – anche se, come tutto, discutibile – il pacchetto che rinuncia al bicameralismo perfetto, e inizia a tagliare gli apparati pubblici in eccesso. Vedremo se andrà in porto, si sa che c’è sempre Berlusconi baro di mezzo, e un Pd persistentemente infido.

Nella stessa fase il M5S ha riacquistato centralità mediatica, ma come, e a quale prezzo? Conducendo da una parte battaglie anche molto condivise da una fetta assai ampia di opinione pubblica (contro il decreto Imu-Bankitalia, malamente accorpato – il mio giudizio resta negativo anche sui contenuti – oppure contro l’uso da parte della presidenza della Camera della tagliola che discrimina le opposizioni), ma attraverso una strategia della provocazione (e della character assassination , o dall’infamare il nemico, sistematica) che li ha portati a rivolgere biechi attacchi sessisti (contro Boldrini e diverse deputate del Pd), a blaterare in aula “boia chi molla”, a scrivere tweet deliranti e sgrammaticati. I media si sono affrettati a denunciare, ma con zelo non limpido, per giorni abbiamo avuto titoli con “vergogna”, “bagarre”, “violenza” e “caos dei grillini”, con i problemi reali che sfumavano sullo sfondo. E’ forse il momento adesso di porsi alcune domande, alla fine di tutto questo: a che punto è il consenso reale nel paese, i cinque stelle pagano o no? Renzi decolla o compatta solo l’elettorato di centrosinistra? Berlusconi cosa fa, oltre ad aver riacquistato il comico (ma attenzione: importante, se non decisivo) due per cento del povero figliol prodigo Pier (FerdinandoCasini)?

I sondaggi le hanno toppate tutte, nel 2013. Non s’erano neanche accorti del treno cinque stelle, per dire. E’ bene ripeterlo e ricordarlo sempre, quando li vedete scriverearticolesse o parlare nei talk show. Ma tutti danno in questo momento blocchi consolidati, e statici. Secondo Ipr – che ha condotto una ricerca nelle cinque circoscrizioni italiane per le elezioni europee – il primo partito sarebbe il Pd, col 27,6, il secondo il M5S, col 25,4 (a dispetto dei suoi errori e della repubblica della stigmatizzazione che gli è simmetrica), terza Forza Italia col 24,3. Al di là dei numeri, tre forze abbastanza vicine. Le coalizioni vedrebbero – al netto delle differenti rilevazioni – centrodestra e centrosinistra quasi alla pari; anzi, forse quella guidata da Berlusconi potrebbe essere lievemente in vantaggio, se davvero mettesse insieme tutta l’armata Brancaleone. Al momento e, ripetiamolo, in un esercizio senza elezioni politiche, senza candidati, dunque per definizione ultra-virtuale.

E qui veniamo a Renzi. In questo quadro il governo appare definitivamente logorato e inane. Il viaggio del premier Enrico Letta nei paesi arabi, oltre a prestarsi a divertenti gag (tipo lamentare che il paese va “verso la barbaria”, non la barbarie, oppure farsi fotografare con un emiro che lo riceve in ciabatte), non ha ottenuto granché, 500 milioni da un fondo sovrano kuweitiano, e un paio di impegni del Kuweit a costruire un ospedale a Olbia e un museo sul Canal Grande (per loro, poco più di una mancia). Così da molti ambienti trapela in queste ore una pazza idea: chiedere a Renzi di sostituire direttamente Letta senza passare dal voto. Si tratta, diciamolo, dell’ultima trovata partorit dentro un mondo-bolla, distante ormai anni luce dalla realtà, e è presumibile che il segretario del pd sia sincero quando ripete, a ogni occasione, “non succederà, non esiste”. Ma l’invito non gli viene solo da Angelino Alfano, suo nemico giurato, sempre lesto nell’avanzare proposte inaccoglibili, e nel manovrare con una spregiudicatezza sprezzante anche del ridicolo; trova una qualche amplificazione anche nell’enfatizzazione che viene concessa a questo scenario sul giornale simbolo del centrosinistra, Repubblica, che riflette però – è l’elemento decisivo – quello che cominciano a ipotizzare anche ambienti istituzionali.

E’ una proposta pericolosa, a mio avviso, anche se naturalmente ha un suo retroterra. Renzi, formidabile nell’accelerazione politica, a motori spenti e senza elezioni non può davvero misurare il suo potenziale di attrazione verso altri elettorati (“mi rivolgo agli elettori, del M5S e del centrodestra, non ai loro capi”); il risultato che molti sperano di ottenere, chiamandolo alla premiership così, sarebbe di fermarne la spinta. Congelarlo a Palazzo Chigi con una sostituzione “di Palazzo” in corsa assicurerebbe magari non uno, ma due anni a questa legislatura, e alla gestione del potere da parte del sindaco di Firenze, ma probabilmente (anche se non con certezza assoluta) renderebbe molto molto più difficile a Renzi la realizzazione ciò che serve all’Italia: una rupture vera, che per essere anche solo sinceramente tentata ha bisogno di nuovi eserciti e truppe non compromese (quali quelle dell’attuale parlamento, e del grosso delle posizioni di comando degli attuali media). Tra l’altro, anche in quel caso la rupture sarebbe davvero difficile da realizzare: ma è in questo “sogno” la sfida vera del renzismo.

In questa che possiamo chiamare “falsa posizione” (grande consenso popolare, grande forza attrattiva, ma per ora soltanto potenziale, senza elezioni, e anzi, con l’ingombro di elezioni europee nelle quali sarà zavorrato dal governo inconcludente), non è inverosimile che attorno a Renzi circoli ancora l’idea (non così dissennata) di votare appena varata la legge elettorale. Ma anche – soprattutto – che nei suoi dintorni risuoni il canto delle sirene (anche da parte di una sinistra mediatica di ultimi giapponesi) che lo vorrebbe imbalsamare a Palazzo Chigi con questa maggioranza. Un disegno che lui non accelererebbe; ma potrebbe essergli prospettato, e da voci a cui sarebbe anche difficile dire di no. Qui si ritiene – voglio dirlo chiaro – che non gli verrebbe fatto un favore, anzi. Il potere tentatore, la seduzione eterna della scorciatoia. Ma in una sinfonia che – Renzi probabilmente lo sa – suona così: non abbiamo potuto fermare il pugile mandandolo al tappeto, lo blocchiamo legandolo all’angolo all’infinito.

da www.lastampa.it

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