economia, politica italiana

"Una zavorra per l’Italia", di Ruggero Paladini

Da soli valiamo quanto tutti gli altri paesi della Ue. Purtroppo però non si parla di un risultato positivo, ma di uno molto negativo: nel nostro Paese il flusso connesso alla corruzione si
aggirerebbe sui 60 miliardi. Così afferma il rapporto annuale presentato ieri dalla Commissione al Parlamento ed al Consiglio europei. La cifra in effetti era circolata un paio di anni fa; nella relazione della Corte dei Conti, per l’apertura dell’anno giudiziario, si citava il dato del Servizio Anticorruzione e Trasparenza del Dipartimento della Funzione Pubblica (SAeT), e si esprimevano delle riserve.
L’argomento è infatti proprio quello del peso, ritenuto eccessivo, che la corruzione italiana verrebbe ad avere sui 120 miliardi stimati a livello europeo: «(s)e l’entità monetizzata della corruzione annuale in Italia è stata correttamente stimata in 60 miliardi….rispetto a quanto rilevato dalla Commissione Ue l’Italia deterrebbe il 50% dell’intero giro economico della corruzione in Europa!». La stima dei 60 miliardi italici è eccessiva, o quella dei 120 europei è troppo bassa? È chiaro che nel caso della corruzione le stime sono ancora più difficili che non in quello dell’evasione. In quest’ultimo caso, infatti, si possono fare dei confronti con i dati di contabilità, per ricavare, sulla base delle aliquote legali, lo scarto tra il gettito teorico, ad esempio, dell’Iva, e quello effettivo. Nel caso della corruzione ciò non è possibile, per cui ci si basa sui dati che riguardano i reati scoperti in materia, le somme in gioco, e si effettuano delle proporzioni del tipo: se i dati monetari della corruzione emersa sono l’x% del volume d’affari complessivo, e i casi scoperti rappresentano l’y% di quella totale, se ne ricava indicativamente una certa cifra globale, sia pur approssimata.
Un gruppo di giovani e arguti redattori del blog Quattrogatti ha ipotizzato che i sessanta miliardi derivino da un rapporto di quasi dieci anni fa della Banca Mondiale che stimava, a livello mondiale, che la corruzione rappresentasse tra il 3% ed il 4% del Pil. Ecco che con il 4% arriviamo per il nostro paese a 60 miliardi. Beh, essere nella media della corruzione mondiale non mi sembra, nel nostro caso, palesemente esagerato. Magari invece del 4% potremmo applicare il 3%, e parlare di 45 miliardi, e quindi del 38% della corruzione europea. Che siano 60 o 45, non è questa la cosa importante. Il fatto è che in tutti i Paesi del sud est dell’Ue il problema della corruzione viene percepito come un problema serio, che ostacola l’attività economica e demoralizza la vita civile. I risultati dell’Eurobarometro, il sondaggio periodico effettuato tra i cittadini europei, parla chiaro. Se svolgere attività economica in un Paese scandinavo non presenta nessun problema dal punto di vista della corruzione, farlo in Grecia, Italia o in Romania è tutto un altro discorso. Il fenomeno della corruzione è chiaramente legato alla Pubblica amministrazione; il pensiero va immediatamente agli appalti, le concessioni, i permessi, e ovviamente alla forte presenza della malavita organizzata. Ma i comportamenti opportunistici non si limitano al mondo della pubblica
amministrazione.
Parlando a proposito del basso livello degli investimenti stranieri in Italia, ecco cosa scriveva Luigi Zingales, che certo non può essere sospettato di antipatie verso il mercato: «La spiegazione deve essere un’altra. Un’ipotesi sempre più credibile è che gli stranieri non investono nel nostro Paese perché non si fidano della sua classe dirigente. Non parlo solo di quella politica, ma anche di quella manageriale. Ogni investimento è costellato di rischi industriali. A questi si aggiungono le difficoltà di comprensione ed adattamento tipici degli investimenti in un Paese straniero. Questi rischi possono essere accettati solo se esiste una fiducia nel sistema e nelle persone con cui si interagisce» (Il Sole 24 Ore, 20 ottobre 2013).
Insieme all’evasione fiscale, all’inefficienza della giustizia, la corruzione è un’altra palla al piede del nostro paese. Nel rapporto della Commissione, pur senza fare nomi, si indicano chiaramente gli interventi legislativi che hanno favorito, dai primi anni duemila, il persistere delle attività illegali e criminose. Ed in effetti da noi non è necessario fare nomi.

da L’Unità

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“La ricetta Ue e le mancanze del governo”, di Claudia Fusani

Noto il male, conosciuta la cura. Il problema, come sempre, è dare seguito alla promesse e alle analisi. Il Rapporto UE sulla corruzione punta il dito contro «i legami tra politici, criminalità organizzata e imprese» e lo «scarso livello di integrità dei titolari di cariche elettive e di governo». Mette in fila le «16 regioni su 20 sotto inchiesta» per gli sperperi e le truffe degli
eletti; i 201 comuni sciolti per infiltrazioni criminali; i 30parlamentari finiti sotto indagine nella scorsa legislatura. Bruxelles si preoccupa anche di dirci cosa dobbiamo fare: «Rafforzare
la legge anticorruzione» perchè restano «irrisolte questioni come prescrizione, autoriciclaggio, falso in bilancio, e voto di scambio. Ci dice anche, il commissario Malmstrom, di «smettere di adottare leggi ad personam che ostacolato l’efficacia dei processi». Tra le raccomandazioni quella di fare una legge seria sul conflitto d’interesse garantendo «un sistema uniforme, indipendente e sistematico di verifica, con relative sanzioni deterrenti». Da migliorare («rafforzare» scrive Bruxelles) «il quadro giuridico e attuativo sul finanziamento ai partiti soprattutto per donazioni e consolidamento dei conti».
In questa marea di critiche e prescrizioni, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Filippo Patroni Griffi riesce a trovare qualcosa di buono. «Il report dell’Unione europea riconosce
che abbiamo fatto passi avanti significativi e che abbiamo cambiato prospettiva puntando su politiche di prevenzione e di responsabilità nella pubblica amministrazione». Vero, ma solo in parte. Palazzo Chigi infatti non accenna a mettere mano a reati come autoriciclaggio, falso in bilancio e prescrizione. E anche la parte preventiva della legge contro la corruzione, «è rimasta in molti aspetti inattuata » denuncia il magistrato Raffaello Cantone. E gli organi di controllo (il Civit) restano scatole vuote.

da L’Unità