IL centrosinistra può vincere anche senza i centristi di Casini. La legge elettorale si può modificare solo con l’accordo di tutti. Il rimpasto lo deve decidere Letta e la legislatura può andare avanti se si fanno le riforme. Grillo si sta sgonfiando come un palloncino ma gli atti di questi giorni sono squallidi e squadristi. Il segretario del Pd Matteo Renzi rilancia.
È SICURO che la strada imboccata può portare a disegnare un nuovo assetto istituzionale e politico. Confermando il bipolarismo e restituendo al fronte progressista la chance di guidare il paese «senza larghe intese».
«Se vogliamo il bipolarismo — avverte —, non mi stupisce che Casini stia di là. Anzi io assegno all’Ita-licum la forza di aver salvato questo principio. E ha messo a tacere i cantori della Prima Repubblica».
Ma non teme che Berlusconi si rafforzi? Mette insieme tutti i centristi, riunisce un bel po’ di listine e batte di nuovo il centrosinistra.
«Ma la nostra vittoria non dipende dal sistema di voto. Sarebbe il fallimento della politica se affidassimo il nostro successo alla legge elettorale e non alla qualità delle proposte e delle leadership. Vinci se affascini gli italiani con le tue idee, non se pensi di farti la legge su misura ».
Lei quando si tornerà alle urne si presenterà da solo o con un’alleanza?
«È chiaro, con un’alleanza. Ma adesso siamo un passo indietro. C’è un accordo siglato da forze politiche diverse. Non accadeva dal 1993, ossia dalla fine della Prima Repubblica. Da quel momento le riforme le hanno fatte tutti a maggioranza. Riguarda anche il Senato e il Titolo V. Il dibattito non può essere allora come ci si presenterà alle elezioni. Anche se è evidente che faremo un’alleanza con forze di centro e di sinistra. Il punto però è impedire il potere di ricatto dei piccoli partiti».
Va bene. Ma prendiamo Sinistra e Libertà di Vendola. Perché dovrebbe allearsi con lei se sa di non arrivare al 4%?
«Dovranno fare uno sforzo per superare lo sbarramento. Sarebbe strano non muoversi in questa direzione. Di certo non è accettabile che chi prende una percentuale minimale poi faccia il bello e il cattivo tempo. Ricorda il 2006 e l’agonia del governo Prodi causato proprio dai partitini?».
Nel 2008 invece Veltroni ottenne un buon risultato di partito ma perse le elezioni inseguendo la vocazione maggioritaria.
«Se siamo credibili, prendiamo un voto più degli altri. Certo, se per farci paura basta uno starnuto di Casini, allora “Houston abbiamo un problema”. Siamo il Pd, noi. Dobbiamo dire qual è la nostra idea di società. Non basta più essere contro Berlusconi. Dobbiamo salvare l’Italia e cambiarla a 360 gradi. E allora discutiamo se si fanno investimenti per la scuola e per la pubblica amministrazione. Parliamo della società, dei meriti e dell’uguaglianza ».
Questo sembra uno slogan usato negli anni ‘80 da Claudio Martelli.
«Ma a un giovane che non sa chi sia Martelli, gli devi dire se vanno avanti i figli di papà o chi ha merito. Se non lo fai, allora è conservazione ».
È un modo per rispondere anche a Grillo?
«Per la prima volta rincorre, è in difficoltà. Se la politica fa le cose che promette, lui si sgonfia come un palloncino».
Ora però c’è qualcosa di più, gli insulti, i libri bruciati, l’assalto alle istituzioni, la violenza. Non vede una strategia del caos, un disegno eversivo?
«Sono tutti atti tecnicamente squadristi. Alcuni di loro sono dei bravi ragazzi, ma quando scendono Grillo e Casaleggio la linea è chiara. Sperare nel fallimento e aizzare il caos. Adesso i teorici dello streaming e della trasparenza si sono ridotti a chiedere il voto segreto come un partitino da prima Repubblica. Dovevano rendere il palazzo una casa di vetro, ma scommettono sui franchi tiratori».
Nella prima Repubblica il presidente della Camera non avrebbe mai ricevuto quegli insulti.
«Che sono squallidi. Del resto quando il pregiudicato Grillo ha l’insensibilità di dire cosa fareste in macchina con la Boldrini… Detto questo il questore Dambruoso dovrebbe dimettersi, perché non bastano le scuse dopo quello che abbiamo visto. La presidente della Camera avrebbe potuto gestire meglio l’ultima settimana anche nelle calendarizzazioni. Ma questo non può giustificare la volgarità e lo squallore dei grillini».
Lei considera il bipolarismo un elemento fondamentale. Quindi la riforma elettorale non si tocca?
«Nessun sistema elettorale è perfetto e le correzioni sono sempre possibili. È fondamentale però salvaguardare il bipolarismo, appunto, e il ballottaggio. Ma nessuno può pensare di imporre le proprie modifiche agli altri. Si cambia solo se si è tutti d’accordo».
Eppure una parte del Pd vuole intervenire sul testo anche senza l’accordo di Forza Italia.
«Condivido nel merito alcune preoccupazioni della minoranza. Ma non posso non riconoscere che Fi ha fatto un passo avanti grandissimo accettando il ballottaggio. Non si può rischiare a colpi di emendamenti di far saltare tutto. Abbiamo fatto un accordo e non accetto piccole furbizie. Berlusconi per adesso ha mantenuto gli impegni e non sarà certo il Pd a venire meno alla parola data, visto che la nostra direzione si è espressa. Siamo un partito, non un club di liberi pensatori».
Magari i forzisti non ne sono così sicuri.
«Non si preoccupino della nostra compattezza. Il 92% del gruppo democratico era in aula al momento del voto sulle pregiudiziali di costituzionalità. Quelli di NCD il 68%, quelli di scelta civica il 57%. I deputati Forza Italia erano il 77%. Semmai mi preoccupa la loro compattezza ».
In che senso?
«La Lega non ha partecipato al voto e Salvini continua a dire che non è interessato alla norma di salvaguardia regionale. Come pensano sia possibile che votiamo quell’emendamento se provoca tanto disgusto nel segretario leghista? Non sia mai che offendiamo la sua spiccata sensibilità».
Lei dice che va salvata l’Italia. Ma ci dovrebbe pensare anche il governo.
«Tocca al presidente del consiglio decidere cosa fare. Se pensa che questo governo vada bene, ok. Se pensa che non vada, dica cosa vuol cambiare e quali ministri vuole sostituire. Ma non si usi l’alibi del Pd per evocare un rimpasto o per mettere dei renziani. Questo schema mi inorridisce. Io sono il segretario del Pd e non dei renziani. Non voglio partecipare a vecchie liturgie da Prima Repubblica. Faccia lui. Non sarò mai un “vetero-cencelliano”».
Nel senso del manuale Cencelli?
«L’altro giorno nella mia stanza è venuto il capogruppo di Italia Popolare, una persona perbene come Dellai. Con lui si è presentato un deputato del suo schieramento e mi ha detto: “Se volete il nostro accordo, a noi cosa date?”. Gli ho chiesto di uscire dalla stanza. Siamo al governo del Paese, non al mercato del bestiame. Io mi occupo di cose concrete, dei cantieri da aprire in mille scuole, della riforma di una pubblica amministrazione barocca, della necessità di non doversi rivolgere a un capo di gabinetto per sbloccare una pratica, degli investimenti stranieri su cui tutti devono riflettere».
Perchè?
«In un anno il loro valore è dimezzato. Un Paese che non attrae è un Paese spacciato. Dobbiamo recuperare appeal. Farli venire e farli restare in Italia».
Proprio oggi Letta parla di una ripresa già avviata.
«Non ho letto le dichiarazioni del presidente del consiglio. Ci sono segnali di ripresa a livello internazionale, il Pil negli altri paesi cresce. È interessante per l’Italia non sprecare l’inizio di questa ripresa. Ma non c’è ripresa senza occupazione. C’è ancora molta strada da fare».
E Letta fino a quando andrà avanti?
«Basta con il quanto dura! E un governo, non un iphone. Questa legislatura può durare fino al 2018, ma deve affrontare con decisione i problemi veri».
Si arriva al 2018 anche se si fa un nuovo esecutivo e lei va a palazzo Chigi.
«Il problema non è il nome del premier, che per quel che mi riguarda si chiama Enrico Letta, ma le cose da fare. Io mi occupo di queste, non di altro».
da La Repubblica