Partiti dalla Spagna, come giusta reazione alla proposta di legge sull’aborto – che limita fortemente il diritto di scelta e di autodeterminazione – la mobilitazione delle donne sta diventando un movimento europeo. Il «treno della libertà» che parte da Madrid toccherà poi capitali e città di molti paesi dell’Unione. Sono in gioco non solo i diritti delle donne, ma le condizioni di uguaglianza e le opportunità di crescita per tutti i cittadini e tutte le cittadine europee. Questo deve essere un punto chiaro della sfida nuova. «Yo decido», slogan con cui le donne spagnole hanno lanciato la protesta contro la legge Rajoy, si deve unire alla battaglia per una democrazia paritaria, che riconosca e valorizzi le differenze di genere e che fondi la capacità di innovazione e costruzione del futuro contando sul pieno contributo di donne e uomini. Aborto, contrasto a stereotipi e linguaggi sessisti, lotta alla violenza maschile, valorizzazione del capitale femminile, percorsi di carriera e equa rappresentanza in tutte le posizioni apicali dei settori pubblico e privato, conciliazione dei tempi privati e di lavoro, condivisione dei carichi di cura, leggi elettorali paritarie: abbiamo di fronte, partendo dal punto di vista femminile, un programma largo di cambiamento.
Non si tratta di rivendicare spazi e occasioni solo delle donne, o di rilanciare quelle che sono state considerate da sempre, con uno sguardo miope, questioni femminili, ma di un cambio di paradigma culturale, che metta al centro le persone, l’uguaglianza, la democrazia.
L’Europa deve diventare un modello di sviluppo sostenibile, di convivenza democratica, dove ci sia una condivisione piena di valori che sono l’essenza stessa dell’essere europei, oltre che l’unica opportunità per ritrovare un posto nel mondo.
Per fare questo è decisivo che su alcune questioni si compia una battaglia dentro tutta la Ue senza confinare valori, libertà, diritti e opportunità ai singoli stati. È in questa direzione che va la mobilitazione che parte oggi e verso la quale ci si muove anche a livello istituzionale, dopo che la bocciatura del rapporto Estrela ha riaperto il dibattito sul ruolo dell’Unione nel garantire diritti e libertà. Il 2014, anno decisivo per l’Europa – con le elezioni e il rinnovo della Commissione, e aggiungo il semestre di Presidenza italiano – deve essere l’anno in cui si afferma, in modo coerente con lo spirito dei fondatori dell’Unione, un’idea di Europa della crescita, dell’uguaglianza, dei diritti delle persone, del benessere.
Oggi al centro dell’attenzione c’è la Spagna, perché lì il governo ha dichiarato l’intenzione diretta di limitare la possibilità di una maternità scelta e consapevole, dopo che negli scorsi anni c’erano stati significativi avanzamenti grazie alle riforme di Zapatero. Ma quella stessa attenzione ci riguarda tutte e tutti. L’Italia non è certo distante da questi problemi. Sia per quel che riguarda il tema dell’aborto, con l’applicazione della 194 messa a rischio dal gran numero di medici obiettori, sia per quel che riguarda la violenza di genere o le scelte che rendano praticabili le scelte di libertà delle donne e delle giovani donne ancora di più. Anche in questi ultimi giorni abbiamo assistito ad uno spettacolo indegno, con l’uso, anche dentro i palazzi istituzionali, di linguaggi violenti e sessisti.
Mi riferisco agli insulti indirizzati alle deputate Pd dal loro collega De Rosa – la cui difesa, «ho detto quello che pensano tutti», la dice lunga sulla cultura «machista» profondamente radicata nel sentire di molti uomini – e agli attacchi dello stesso genere rivolti alla Presidente della Camera che Letta ha definito antidemocratici. Chi calpesta la dignità, chi non rispetta gli altri, chi pensa che sia giustificabile il ricorso alla violenza – verbale o fisica – contro le donne non può in alcun modo pretendere di difendere gli interessi delle persone, e ancor meno, di rappresentarli nelle istituzioni. Ecco perché c’è bisogno di un cambiamento culturale profondo, capace di modificare il modo in cui bambine e bambini guardano al mondo, le relazioni tra sessi e i processi di socializzazione. C’è bisogno di un’alleanza larga, che parta dalle scuole, che sia condivisa dai media, dai soggetti vitali della società civile e della rappresentanza economica e del lavoro. E c’è bisogno, fortemente bisogno, di una politica positiva, che costruisce, che decide e che rilanci la funzione democratica ineludibile delle istituzioni.
Siamo in campo e impegnate per questo. Spero saremo sempre di più ad agire il cambiamento. Spero e ho fiducia nelle tante donne e uomini che si stanno muovendo per dare all’Italia le risposte urgenti e necessarie per essere un Paese davvero anche per donne. E spero ci siano tanti uomini che sentano loro – leader, parlamentari, giornalisti, uomini tutti – la sfida di una società più giusta, più uguale e più libera.
*Vicepresidente del Senato
da L’Unità