Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. I duri e i grillini. Solo che il gioco si chiama democrazia parlamentare e troppa durezza rischia di ammaccarlo seriamente. Le cronache di queste giornate raccontano di insulti, risse, occupazioni: del deputato che insulta in maniera greve le colleghe e si becca una sfilza di denunce; di quell’altro che insulta invece il Presidente della Repubblica senza preoccuparsi di sconfinare nel vilipendio.
Raccontano di molti deputati pentastellati che tentano l’assalto a questa o a quell’aula, con l’obiettivo di bloccare i lavori e di oscurare i passi compiuti nel lavoro parlamentare, sull’Imu e sulla legge elettorale, approdata finalmente alla Camera. Poi ci scappa lo spintone, lo scappellotto, la manata: uno chiede scusa, un altro nega l’intenzione, un altro, invece, se la ride.
Ma non è lo scompiglio, creato ad arte in queste ore, a destare preoccupazione. Prima dei grillini, a inizio secolo erano stati i socialisti a praticare l’arte dell’ostruzionismo. Nel dopoguerra sono stati i comunisti, contro la legge truffa e l’adesione alla Nato, e ancora i cronisti si passano fra di loro l’articolo del Corriere della Sera su Giancarlo Pajetta che salta intrepido tra i banchi per lanciarsi con foga nella mischia. Hanno fatto ostruzionismo persino i democristiani, lo hanno condotto alla sublimazione perfetta i radicali.
Tutto già visto, tutto già sentito, si direbbe allora. E invece no. Perché i grillini ci aggiungono, dal canto loro, una profonda sfiducia e un senso di estraneità nei confronti della prassi parlamentare, che va ben oltre una maniera intransigente di fare opposizione. Non è la gravità degli episodi, dunque, in discussione, ma l’interpretazione che della prassi democratica offrono i «cittadini» grillini. Che si vogliono cittadini proprio per quello, perché non si sentono parlamentari, come se ci fosse qualcosa di male nel solo appartenere al Parlamento. Ha dichiarato quel Luigi Di Maio, grillino, che, forse incidentalmente, è anche vice Presidente della Camera: «Se si sopprimono i diritti dell’opposizione, il conflitto si sposta oltre il regolamento e forse oltre il Parlamento». La frase può certamente essere derubricata tra le dichiarazioni a effetto che cadono in un clima surriscaldato, se non fosse che oltre il Parlamento il Movimento si trova già da sempre, per definizione, anzi per statuto: nei pressi cioè di quella consultazione diretta virtuale, inventata sulla Rete a beneficio dei followers del blog di Grillo (non certo dell’universalità dei cittadini), che pretende di essere la vera, unica e sola democrazia. Per questo, non è vero affatto che in un Parlamento ormai esangue, incapace di legiferare e mortificato dalla continua decretazione d’urgenza, la pratica squisitamente parlamentare dell’ostruzionismo ridà finalmente fiato alle Camere e paradossalmente ripristina la centralità che spetta loro, secondo Costituzione. È vero invece il contrario: appena qualcosa comincia a muoversi tra i banchi del Parlamento – un decreto, una legge, una riforma – i deputati grillini si agitano e si scalmanano perché tutto invece rimanga immobile, bloccato, inutile, così da confermare il loro giudizio sull’irreformabilità della politica e, en passant, sull’impraticabilità della mediazione parlamentare. Si oppongono alla singola misura parlamentare, e si sentono investiti di una missione che non possono al contempo realizzare in nessun Parlamento.
Dopodiché quel che fanno lo fanno anche in maniera alquanto confusa e improvvisata. Basta leggere la richiesta di messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica, un atto che definire sconclusionato è fargli una gentilezza, ma che serve ad alzare il livello dello scontro, a cancellare presso l’opinione pubblica ogni barlume di senso istituzionale e, non dimentichiamolo, a lanciarsi nella campagna elettorale.
Perché bisogna dir meglio: sarà anche confusa e improvvisata la richiesta, ma non lo è affatto la determinazione con cui Beppe Grillo scende in campagna elettorale, in vista delle Europee. In quello non c’è nulla di improvvisato. Lì il gioco si fa veramente duro, e Beppe Grillo ha iniziato a giocarlo.
L’Unità 31.01.14