Non ha più la dignità di una questione politica. E neppure il decoro di una questione di galateo istituzionale o parlamentare. Ormai l’attacco frontale del Movimento 5 Stelle al presidente della Repubblica è diventato un insulto all’intero Paese. Un’offesa alla democrazia repubblicana e quindi a tutti i cittadini che a questa appartengono.
Fa ribrezzo anche soltanto scrivere e riferire quella parola “boia” lanciata come un sasso o una bomba contro il Capo dello Stato nell’aula di Montecitorio da un “nominato” di Beppe Grillo. Un urlo selvaggio, da ultras del calcio, simile a quelli razzisti indirizzati ai giocatori di colore della squadra avversaria. Un atto d’inciviltà e di barbarie, più che di protesta o denuncia. Qui siamo oltre il confine della ragionevolezza e della decenza. E anche oltre il limite della critica, più o meno lecita, più o meno condivisibile. Una tale violenza verbale, anzi, toglie qualsiasi credibilità ed efficacia anche all’esercizio legittimo del diritto di critica, lo vanifica, lo sterilizza. È un’escandescenza, uno scatto d’ira o di rabbia, che rinnega la stessa funzione parlamentare: tanto da provocare un’immediata reazione di solidarietà bipartisan.
Il Movimento 5 Stelle può avere tutti i suoi motivi per contestare il comportamento e le scelte del presidente Napolitano. O addirittura, per chiederne l’impeachment. Ma per una forza politica che rappresenta circa un terzo del
Parlamento, ed esprime anche un rispettabile vice-presidente della Camera, questa è in realtà una prova di debolezza, una fuga dalla realtà, un’alienazione da sé.
Chiamare “boia” il rappresentante dell’unità nazionale, rieletto l’anno scorso per il secondo mandato al Quirinale, parlamentare di lungo corso, già presidente dell’assemblea di Montecitorio e ministro della Repubblica, equivale a ripudiare la convivenza civile prima ancora che l’assetto dello Stato. È come se un Movimento di uomini e donne, di elettori ed elettrici, di militanti e attivisti, si chiamasse fuori da quello stesso circuito istituzionale per entrare nel quale ha chiesto e ottenuto il voto al popolo italiano. E ora c’è solo da augurarsi che un tale estremismo possa produrre qualche reazione di dissenso, qualche distinguo o almeno una presa di distanza da parte delle persone più serie e responsabili.
Da tempo, in uno sforzo ostinato di comprensione e di dialogo, andiamo ripetendo che il torto principale di Grillo è stato quello di congelare il consenso raccolto nelle urne, deludendo le aspettative e le speranze di una larga parte del suo elettorato. Ma così si annulla qualsiasi spazio di confronto, si chiude qualsiasi canale di comunicazione, accentuando un irriducibile isolamento che alla fine si risolve nell’impotenza politica. Oppure, si traduce nella logica nichilista del “tanto peggio tanto meglio”. In questo modo, continuando a soffiare sul fuoco, si rischia però di fare il gioco della reazione e di favorire i propri avversari.
La Repubblica 29.01.14
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