La politica del chiamarsi fuori sempre e comunque da qualunque tipo di accordo e da ogni possibile forma di mediazione ha come naturale conseguenza la necessità di alzare i toni. Sempre e comunque, per non rischiare di scivolare ai margini del dibattito politico. Così il Movimento 5 stelle, che avrebbe potuto sostituire come interlocutore Silvio Berlusconi nella trattativa di Matteo Renzi per riformare la legge elettorale, si trova invece a far votare ai propri attivisti un bizzarro “collegio intermedio proporzionale”, totalmente al di fuori da qualunque possibilità di incidere nel merito della legge che verrà.
Così, se sull’Italicum si sono limitati ad annunciare un improbabile conflitto di attribuzione rispetto alle procedure regolamentari utilizzate dalla commissione Affari costituzionali, è sul decreto Imu Bankitalia che gli uomini di Beppe Grillo hanno provato ad alzare il tiro. Lo schema è sempre quello: tenersi al di fuori da qualunque tipo di soluzione condivisa per poter additare all’inciucio dei partiti tradizionali, rei di portare il paese allo sfascio.
Ma se, in termini generali, qualche parte di ragione potrebbe essere contenuta in un discorso pur grossolano, i deputati a 5 stelle rischiano questa volta di sbattere contro un muro. Perché la loro ostruzione sul provvedimento che rimodulerebbe le tasse sulla casa e ridisegnerebbe gli assetti della Banca centrale rischia, qualora andasse in porto, non solo di far traballare seriamente l’esecutivo guidato da Enrico Letta. Ma avrebbe come effetto collaterale quello di far rivivere – per la mancata concversione in legge del decreto del governo – la seconda rata dell’Imu.
Proprio quell’eventualità che i deputati stellati hanno sempre detto di voler scongiurare, affannandosi a trovare coperture spesso anche fantasiose per non far tirar fuori agli italiani l’importo necessario per saldare la tanto contestata tassa. E se va dato merito alla pattuglia M5s di aver messo nel mirino in particolar modo la parte del testo governativo che mette mano alle quote di Bankitalia, e di aver proposto lo stralcio dei relativi articoli dal complesso della norma, gli stessi deputati stellati non possono ignorare l’effetto boomerang che potrebbe avere la loro azione di interdizione.
Se però la strategia è quella di alzare il livello dello scontro ad ogni costo, tutto diventa lecito. Anche il lapsus di definire la cosiddetta tagliola (lo strumento procedurale che consente alla presidenza della Camera di contingentare i tempi) “ghigliottina”, e di additare Giorgio Napolitano come il “boia” che la dovrebbe azionare. Come ha seraficamente fatto nel corso di una conferenza stampa Giorgio Sorial, attirandosi un fuoco di fila da parte dell’intero arco costituzionale, da Letta a Matteo Renzi passando per Renato Brunetta e Mariastella Gelmini. Con tanto di esposto da parte di una deputata del Pd e ipotesi di iscrizione al registro degli indagati per vilipendio sul fronte procura di Roma.
Una scomposta entrata a gamba tesa, da cartellino rosso. Ma insieme un prezioso assist per i partiti tradizionali, in grande affanno sul fronte legge elettorale, per poter distrarre per qualche attimo l’attenzione dalle ambasce di una trattativa nella quale, come spesso accade, il Parlamento si trova ad essere un mero esecutore di accordi presi altrove. Così, a tarda sera, mentre l’ostruzionismo procedeva allegramente e lo spettro dell’Imu tornava ad aleggiare sulle tasche dei contribuenti, Sorial prendeva la parola in Aula. Immediatamente i banchi del Partito democratico si svuotavano, lasciandolo plasticamente in un emiciclo privo della quasi totalità dei suoi membri. Un gioco delle parti, vero. Ma legittimato da una strategia dell’aggressione ad oltranza che non è ben chiaro quale orizzonte concreto abbia. Se non quello di uno zerovirgolaqualcosa in più nelle urne delle prossime europee.
da Huffington Post 29.01.14