C’hanno provato. E ci proveranno fino all’ultimo, fino a stasera, fino a quando rimarrà una sola possibilità di fermare la corsa della riforma elettorale. Non è esagerato dire che queste sono le ore decisive per capire se l’Italicum è destinato al fallimento immediato, o a un primo e forse decisivo successo parlamentare.
Negli ultimi giorni, il partito che ha lavorato di più è stato il partito dell’ostruzionismo. Lo compongono coloro (di tutti gli schieramenti) che vorrebbero trascinare il gioco della riforma all’infinito, con le tattiche dilatorie applicate negli ultimi anni. Non è che non vogliano una nuova legge: semplicemente, non la vogliono così esigente nei confronti dei piccoli partiti; e soprattutto non vogliono che il suo varo rappresenti una vittoria di Matteo Renzi e della sua leadership.
Qui c’è la questione cruciale. Il punto forte e il punto debole dell’operazione tentata dal segretario del Pd.
Si diceva la verità, quando si prendeva atto (come ha fatto anche il capo dello stato) che Renzi fosse l’unico attore sulla scena in grado di portare a casa il risultato, nell’interesse dell’intero sistema e del buon nome del parlamento, dei partiti e della politica.
Il risvolto di questa medaglia è che a tutti coloro che vogliono soffocare subito le ambizioni del sindaco è stata offerta l’occasione di fargli del male. Magari non battendolo apertamente ma costringendolo ai tempi lunghi, al rinvio, alla palude di Palazzo nella quale annega ogni entusiasmo. Non si può escludere che fra costoro ci sia anche Berlusconi: non dimentichiamo che è lui l’avversario finale di Renzi.
La normalizzazione del nuovo arrivato, la sua riduzione a politico qualunque, la fine della sua eccezionalità: questa è la partita parallela che si gioca, intrecciata a quella sulla riforma elettorale e a quella sul governo, nelle cui difficoltà si vorrebbe coinvolgere il segretario del Pd fino all’estremo di consegnargli palazzo Chigi.
Il partito della palude non capisce quanto male faccia in realtà a se stesso, più che a Renzi. Il sindaco, agile e sfuggente, saprà comunque proporre una versione dei fatti positiva per sé, foss’anche nel ruolo di vittima.
Gli altri, tutti gli altri, rimarranno ostaggi dell’unico beneficiario della paralisi: Beppe Grillo, lo scienziato pazzo che ha dato voce e vita a quel Frankenstein della politica che ieri dava del boia al capo dello stato stando seduto tra i simboli della Repubblica italiana.
Da Europa QUotidiano 29.01.14
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“E’ l’ora della verità”, di Stefano Folli
Gli insulti a Giorgio Napolitano da esponenti del movimento “grillino” indicano che questo partito, peraltro votato un anno fa dal 25 per cento degli italiani, non è mai riuscito a darsi un profilo maturo, sia pure nell’ambito di una forza che si concepisce solo all’opposizione.
L’episodio di ieri è al limite del teppismo politico e fotografa il degrado dei rapporti istituzionali. Se il Parlamento diventa la mera cassa di risonanza di un estremismo intollerante e triviale, i rischi che ne derivano sono molto seri. Da un lato l’opposizione perde la sua ragion d’essere e le stesse battaglie parlamentari, quando si combattono, si trasformano in risse indecorose. Il Parlamento, già indebolito, viene ferito e le istituzioni oltraggiate.
Dall’altro lato, il pericolo per gli italiani è affondare lentamente in questo clima velenoso che si somma all’immobilismo cronico del sistema. Una miscela pestifera le cui conseguenze non sono prevedibili. Di sicuro sappiamo che gli assetti istituzionali non sono eterni e richiedono molta cura. Potrebbero non reggere alla pressione e in tal caso non è detto che sia Beppe Grillo il beneficiario del caos. È già capitato nella storia che gli apprendisti stregoni siano a loro volta travolti dagli eventi e da altri personaggi più intolleranti di loro.
L’altro giorno un sondaggio descriveva il crescente bisogno di un «uomo forte» che si respira ormai nell’opinione pubblica. È il logico prodotto della palude, per usare un’espressione cara a Matteo Renzi. Una palude nella quale qualcuno, che ambirebbe a rappresentare addirittura l’alternativa di sistema, in realtà si limita a gettare fango e a spargere il discredito.
In altre parole, si cammina lungo uno stretto crinale. E le notizie non positive sul versante della riforma elettorale sono un altro segnale d’allarme. Finora si è molto puntato sull’ipotetico “patto” fra Renzi e Berlusconi. Ma ora siamo giunti al momento in cui il cammello deve passare nella cruna dell’ago. Se il “patto” è solo un espediente mediatico, non reggerà alla prova dei fatti. Se viceversa costituisce davvero un inedito duopolio fra il giovane fiorentino e l’anziano uomo di Arcore, allora dobbiamo aspettarci che non serva solo a cambiare la legge elettorale.
Non a caso il volto nuovo del centrodestra, il giornalista Toti, ha parlato di un «governo di scopo» con Renzi a Palazzo Chigi sostenuto da Forza Italia. L’idea è bizzarra, soprattutto per come viene presentata: Renzi dovrebbe in sostanza distruggere la sua parte politica a tutto vantaggio del fronte berlusconiano. Si intuisce allora che Berlusconi non è troppo soddisfatto del famoso “patto”. Forse si aspetta di ottenere molto di più di quello che Renzi è in grado di dargli. Per cui siamo di nuovo nel pantano, quando mancano solo ventiquattro ore alla presentazione della legge in Parlamento. È noto che, se il termine non viene rispettato, si rotolerebbe verso un drastico rinvio.
Si discute e si negozia in queste ore, ma il risultato è del tutto incerto. La verità è che finora si è data eccessiva enfasi ad accordi incompleti. Il duopolio non è veramente tale. Il vero patto è fra Renzi e Verdini, uniti anche dalla fiorentinità. Ma è da capire fino a che punto Verdini riesce poi a convincere Berlusconi, se questi non vede concreti vantaggi dall’intesa con il pur simpatico leader del Pd.
Il Sole 24 ore 29.01.14