L’impossibilità di esprimere una preferenza sul candidato come prevede l’Italicum apre un eterno dilemma. Ma l’accusa di “controllo” che grava sulla proposta di Renzi non regge. A giudicare dai dati forniti da Ipsos nella puntata di ieri sera, 21 gennaio, di Ballarò, la stragrande maggioranza degli italiani (quasi il 70 per cento) giudica in modo positivo l’incontro avvenuto tra Renzi e Berlusconi per discutere sulla nuova legge elettorale. E l’unico elettorato critico – almeno per la metà tra loro – appare, come ci si poteva aspettare, quello del Movimento 5 stelle. La stessa riforma del voto viene sostanzialmente giudicata positivamente, con un unico elemento non molto gradito, quello della impossibilità di esprimere una propria preferenza sul candidato da eleggere.
Eterno dilemma, quest’ultimo. Ricordiamo tutti come la preferenza plurima fosse stata cancellata a furor di popolo con il referendum del 1991, per poi venir abolita del tutto al proporzionale con il Mattarellum, con grande soddisfazione generale.
In quegli anni la sensibilità comune era dunque contraria alla facoltà di esprimere il voto anche per un candidato, tanto che l’allora Pds, e poi i Ds, e infine lo stesso Bersani per il Pd non sono mai sembrati mai particolarmente d’accordo con il suo re-inserimento.
Ragioni pro e contro si sono spesso intrecciate tra loro, indipendentemente dalle diverse aree politiche. I contrari sostengono che le preferenze si allaccino al controllo, da parte dei potentati locali, delle scelte degli elettori; oppure che in questo modo si dia la possibilità di ritornare al vecchio “voto di scambio”, spesso presente nelle aree meridionali, tanto che nelle regionali il sud ha un tasso di preferenza intorno all’ottanta per cento, contro il 25 del nord.
I favorevoli ribadiscono che il parlamento non debba essere formato da nominati, controllati costantemente dai vertici del partito, ma che va dato spazio all’elettore di scegliere liberamente chi lo rappresenterà.
Tutte le tesi sono egualmente condivisibili, ovviamente. Esistono pericoli da una parte e dall’altra. Ma in queste ore c’è una parte considerevole dell’opinione pubblica decisamente contraria alle liste bloccate, per le motivazione che dicevo poc’anzi, in relazione al potenziale “controllo” da parte dei vertici dei partiti sui propri futuri eletti. Ma con questa legge funziona davvero così?
Il cosiddetto Italicum proposto da Renzi ipotizza circoscrizioni relativamente piccole, con un numero massimo di candidati da eleggere intorno ai 4-5 per area di voto. Se un partito volesse controllare l’esito delle urne, non avrebbe la minima difficoltà a presentare in ognuna delle circoscrizioni personaggi a lui graditi, permettendo pure che, con il voto di preferenza, i cittadini si sentano liberi di scegliere (ma si tratterebbe comunque di una scelta molto limitata, tra candidati sicuramente vicini al partito).
Se le candidature emergessero invece dalle primarie, il controllo dei vincitori di queste primarie sarebbe al contrario molto più difficoltoso. Se in una certa provincia si presentasse un candidato inviso ai vertici di partito, ma ben visto dalla base elettorale, non avrebbe alcuna difficoltà a vincere e ad entrare tranquillamente in parlamento. E una volta eletto potrebbe facilmente comportarsi in maniera differente, nel caso, da quanto richiesto dalla disciplina di partito.
Dunque, se l’accusa a Renzi fosse proprio questa, quella dell’eventuale “controllo” sugli eletti, sarebbe per lui molto più semplice “sbloccare” le liste, ma a candidati a lui vicini, piuttosto che prevedere liste bloccate con candidati usciti da libere primarie.
E allora: perché tanto chiasso?
da Europa Quotidiano 22.01.14