Siamo a un passaggio cruciale della legislatura, forse all’inizio di un nuovo ciclo politico. E la sola preoccupazione di Beppe Grillo è evitare che i parlamentari Cinquestelle tocchino la palla, che incidano magari indirettamente sulla riforma elettorale e su quelle istituzionali. Come al solito si barrica dietro la violenza verbale, alterna proposte (si voti con il Porcellum, anzi no con il Mattarellum, anzi no con il proporzionale) al solo scopo di evitare che siano efficaci, rifiuta a priori di partecipare a qualunque negoziato sperando che tutto precipiti, che il sistema collassi, che l’Italia sprofondi più di quanto faccia già.
Stavolta però si avverte un disagio tra i suoi sostenitori, Marco Travaglio compreso. Deputati e senatori del Movimento cominciano a soffrire l’oppressione del nichilismo. C’è un conflitto esistenziale tra i giovani parlamentari e la coppia Grillo-Casaleggio. La ragione politica di questi ultimi è prosperare nello sfascio, mentre i parlamentari vorrebbero cambiare qualcosa, entrare in partita per modificare l’inerzia degli eventi: sono, in gran parte, espressione di quella fetta di elettorato che ha votato Grillo sperando che potesse agire per un cambiamento e non solo provocare una demolizione. Ovviamente, il M5S ha ottenuto un successo clamoroso alle elezioni del 2013 perché è riuscita a rappresentare istanze tra loro diverse e a comporle in una protesta radicale. Il rifiuto totale e il rancore sorretto da una sfiducia irriducibile compongono anch’esse la complessa miscela del consenso grillino. E Grillo fa leva sugli impulsi più distruttivi per giustificare la propria autoesclusione. In un video disponibile nel suo blog, Grillo spiega ai suoi senatori che la cosa più importante è «non farsi riprendere insieme agli altri politici», è evitare che il M5S sia considerato un partito, benché all’opposizione.
Grillo e Casaleggio hanno adottato questa linea dal primo giorno della legislatura. E hanno beneficiato della benevolenza di quegli opinionisti che tutto subordinavano alla sconfitta del Pd. Avrebbero potuto dare un indirizzo diverso alla legislatura. Anche solo per ragioni tattiche avrebbero potuto consentire (e poi condizionare) un governo di minoranza del Pd. Ma hanno chiuso le porte a Bersani. Avrebbero potuto, nel secondo giro di consultazioni, prima delle presidenziali, avanzare una rosa di nomi e mettere alle strette il Pd. Ma si sono ben guardati dal farlo. La linea era ferrea ed è stata imposta pagando anche il prezzo di qualche espulsione: Grillo e Casaleggio volevano che un governo con il partito di Berlusconi perché pensavano così di svuotare il Pd.
La partita del Quirinale è stata giocata con questo cinismo. Hanno lanciato Rodotà, rifiutando però qualunque dialogo, qualunque incontro con il Pd. Volevano spaccare i democratici: a Grillo del presidente della Repubblica non fregava assolutamente nulla. Purtroppo il Pd ci ha messo del suo per affondare nel fango. E i padroni del M5S hanno esultato, pensando così di avere campo libero all’opposizione e dare a questa il carattere di un’opposizione di sistema. Casaleggio scommetteva sulle elezioni a fine 2013 o al massimo nella primavera del 2014 (si sa che è un veggente, avendo già previsto per il 2043 la vittoria di Internet nella guerra mondiale contro gli Stati, e dunque la fine di ogni partito, di ogni corpo sociale, di ogni religione).
Grillo ha fin qui contenuto la frustrazione dei suoi parlamentari, costretti all’Aventino dell’irrilevanza, assicurando la fine imminente della legislatura e la resa definitiva di Pd e Forza Italia. Da quando la segreteria del Pd è stata conquistata da Renzi, ha spostato i riflettori sulle elezioni europee, avviando una campagna di tipo lepenista. Ma ora in Italia si è aperto un confronto su un nuovo sistema politico. Si può sostenere, con buone ragioni, che la vittoria di Renzi sia anche figlia del successo di Grillo e della sconfitta inferta al gruppo dirigente della sinistra. Si può sostenere, come adesso fa Grillo, che gli eccessi tattici di Renzi abbiano riabilitato più del necessario Berlusconi. Ma il merito del cambiamento in atto non si può eludere, e i grillini non hanno scuse per fuggire.
La proposta elettorale ha gravi difetti: Grillo lavorerà per migliorarla o vuole la peggiore legge possibile? È disposto a battersi per alcuni emendamenti o spera di nascondersi e scomparire? A questo domande, che gli pongono pure i fedelissimi, dovrà rispondere. L’impressione è che la stagione stia cambiando anche per lui. Stavolta non gli basterà inneggiare alla distruzione globale per salvare la faccia. E pensare che la pattuglia a Cinquestelle potrebbe persino avere un ruolo per emendare la proposta di compromesso. Alcune modifiche sono una necessità democratica: i cittadini devono poter scegliere i loro deputati, la soglia per accedere al doppio turno è troppo alta, lo sbarramento per chi è coalizzato non può essere inferiore a quello di chi non è coalizzato. Se Grillo terrà i suoi chiusi nel bunker non potrà dire che la brutta legge è colpa degli altri. Renzi gli aveva aperto la porta, e lui l’ha richiusa sdegnosamente. Se in Parlamento finge di fare casino per non fare nulla, quello che poi chiamerà Porcellinum sarà anche figlio suo.
L’Unità 22.01.14