"L'Aquila, la scossa della corruzione cinque anni dopo il sisma", di Claudia Valtattorni
L’Aquila non è una città morta. Cinque anni dopo il terremoto del 6 aprile, cinque anni dopo quella scossa Richter 5.8 che ha stravolto per sempre una città, cinque anni dopo macerie, zone rosse, militari, passerelle politiche, inchieste, processi, promesse e delusioni, L’Aquila prova a rialzare la testa. Oltre 60 i cantieri aperti nel centro storico: si vedono gru, camion, carriole che portano via calcinacci, sacchi di calce e cemento, operai al lavoro. E si rompe quel silenzio surreale che per anni ha caratterizzato il quinto centro storico più grande d’Italia. Le prime facciate dei palazzi antichi sono tornate a splendere. A fianco di edifici meno blasonati e fortunati che invece ancora per molto tempo saranno ingabbiati da travi di ferro ormai arrugginite. «L’Aquila rinasce» si legge sui teloni stesi sui ponteggi. Un mantra che si ripete un po’ ovunque nel cuore della città. Ma non è facile. I più ottimisti prevedono almeno 10 anni di lavori prima di rivedere rinato il capoluogo abruzzese. I pessimisti ne ipotizzano almeno 25. Ma oltre ai palazzi da …