Signor Presidente, colleghi,
migliaia di professionisti dei beni culturali attendono questo momento da anni. Questi professionisti, che svolgono un lavoro di rilevante interesse pubblico poiché presidiano fattivamente l’articolo 9 della nostra Costituzione, attendono che sia riconosciuto il loro ruolo lavorativo, economico e culturale, attualmente mortificato tanto da condizioni lavorative inaccettabili, in un mercato sregolato e privo di ogni garanzia, quanto da un arretramento delle istituzioni pubbliche rispetto agli investimenti sui beni culturali.
Professionisti, voglio sottolinearlo, ai quali il Paese affida di fatto ogni giorno la tutela e la valorizzazione del nostro patrimonio culturale, che è testimonianza unica dell’identità e della bellezza, strumento per la formazione e trasmissione della conoscenza, non solo per il nostro Paese, ma per l’intera umanità.
Sono i professionisti che sabato scorso si sono dati appuntamento in piazza del Pantheon per rivendicare dignità per il loro lavoro e buona occupazione, mettendo al primo punto della piattaforma il “Riconoscimento pubblico dei profili, delle competenze e della dignità dei professionisti dei beni culturali”. Chiedono cioè che nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio sia riconosciuto “il ruolo e la qualificazione” dei professionisti dei beni culturali mediante l’approvazione della proposta di legge 362.
Vale a dire la proposta di legge di cui oggi avviamo la discussione generale: quale migliore risposta da parte della politica se non una sua rapida approvazione?
Il testo che esaminiamo oggi risulta arricchito rispetto a quello originariamente presentato nell’agosto del 2008 e ulteriormente riformulato e ripresentato nell’attuale legislatura, lo scorso marzo: una riformulazione e un arricchimento che testimoniano positivamente del fecondo esame collegiale da parte delle forze politiche, avvenuto in seno al Comitato ristretto, a partire dall’attenta valutazione dei contributi emersi nel corso delle audizioni dei rappresentanti delle associazioni del settore, del Ministero per i BBCC, nonché del Consiglio Superiore dei beni culturali e paesaggistici.
Il confronto serrato di idee e di proposte ha portato all’adozione di un primo nuovo testo nell’agosto scorso: su di esso si è aperta una ulteriore fase di discussione pubblica, che ha nuovamente coinvolto tutti i soggetti interessati dalle disposizioni del testo.
I suggerimenti e le osservazioni di questa ulteriore fase di approfondimento sono stati adeguatamente valutati e recepiti, così da giungere nel dicembre scorso all’adozione di un ulteriore nuovo testo, sottoscritto da tutte le forze politiche.
Credo sia giusto richiamare tutti i passaggi di questo percorso per dar conto della qualità del lavoro svolto: un lavoro condiviso, attento nel soppesare le istanze e le esigenze avanzate dai diversi soggetti coinvolti, senza chiusure ideologiche e posizioni preconcette. Credo di poter dire che si sia lavorato con spirito costruttivo per scrivere norme efficaci, chiare e facilmente applicabili per dare riconoscimento ai professionisti dei beni culturali.
Questo almeno fino al 9 gennaio, data della seduta conclusiva dei lavori di commissione, quando il M5S ha ritenuto di ritirare le proprie firme, pregiudicando, quindi, la richiesta di procedere in sede legislativa per l’approvazione della proposta di legge.
Mi interessa qui rilevare un problema non di merito ma di metodo, dato che le sopraggiunte perplessità nel M5S avrebbero potuto essere proficuamente presentate e discusse in seno alla commissione, così come si è fatto nei mesi scorsi, affrontando di volta in volta i vari dubbi sollevati e giungendo a soluzioni che hanno portato non solo ad un testo condiviso, ma ad un buon testo, solido nel proprio impianto perché sottoposto per mesi all’esercizio della critica.
Mi auguro che le perplessità del M5S possano trovare una risposta nel proseguo di discussione in Aula, per non disperdere l’importante lavoro svolto fin qui insieme.
E vengo all’illustrazione sintetica del contenuto della proposta di legge.
L’articolo 1 inserisce nella parte delle Disposizioni generali del Codice dei beni culturali e del paesaggio un nuovo articolo, il 9-bis.
Esso dispone che gli interventi operativi di tutela, protezione, conservazione, valorizzazione e fruizione dei beni culturali siano affidati, secondo le rispettive competenze, alla responsabilità e all’attuazione di archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, antropologi, restauratori di beni culturali e collaboratori restauratori di beni culturali, esperti di diagnostica e di scienze e tecnologia applicate ai beni culturali e storici dell’arte, in possesso di adeguata formazione ed esperienza professionale.
Alla citata disposizione, per fugare alcune perplessità emerse durante l’esame del provvedimento, si è ritenuto opportuno anticipare un richiamo alla competenza della tutela dei beni culturali disposta dall’articolo 4 del Codice, in adesione al dettato costituzionale, così da esplicitare inequivocabile che gli interventi di tutela svolti dai professionisti privati sottendono, nella loro espressa esecutività, alla funzione dello Stato in materia di tutela del patrimonio culturale.
Analogamente, rispetto al testo originario, sono stati espunti gli interventi di vigilanza ed ispezione tra quelli di competenza dei professionisti, poiché precipui delle funzioni dello Stato e comunque non necessariamente delegata all’operato di professionisti.
L’articolo 1 quindi, dopo aver fatto salve le competenze degli operatori delle professioni già regolamentate – quale, ad esempio, quella degli architetti – elenca i professionisti competenti ad eseguire interventi sui beni culturali.
La selezione è avvenuta mediante un attento vaglio, teso ad individuare quei profili che operano in via esclusiva sui beni culturali. Ecco perché, ad esempio, non sono stati inclusi i fotografi o gli economisti della cultura, che prestano la loro opera e le loro competenze per i beni culturali in modo non esclusivo.
Come si evince dall’articolo 1, la proposta in esame interviene nell’ambito delle professioni non organizzate in ordini o collegi, cioè in quella disciplina affrontata in termini generali dalla legge n.4 del 2013.
Questa recente legge ha rappresentato quindi un importante riferimento normativo nell’esame della proposta in oggetto, in particolare per quanto riguarda i contenuti dell’articolo 2, poiché la legge 4 definisce un nuovo orizzonte di sviluppo delle associazioni professionali, anche mediante l’attribuzione loro di una precisa responsabilità sociale.
La legge 4 dispone, tra l’altro, che i professionisti possono costituire associazioni professionali di natura privatistica al fine di valorizzare le competenze degli associati e garantire il rispetto delle regole deontologiche, agevolando la scelta e la tutela degli utenti.
L’altra normativa alla quale si è fatto costante e specifico riferimento è quella dell’Unione europea, tenuto conto che per la disciplina europea i professionisti sono soggetti alle regole di concorrenza (dettate dall’art. 101 del Trattato sull’Unione europea) e quindi essa è particolarmente attenta ai cosiddetti diritti esclusivi, cioè a tutte le regolamentazioni che riservano alcune attività a una ristretta categoria di professionisti.
Di questa normativa abbiamo quindi tenuto conto nella stesura del nuovo testo, in particolare per quanto riguarda l’articolo 2 che dispone l’emanazione di un decreto, sul quale mi soffermerò a breve, che dovrà essere conforme alla normativa europea.
L’articolo 2, a differenza del testo originario, non costituisce una novella del Codice dei beni culturali e del paesaggio poiché la specificità del contenuto meglio si presta ad un distinto provvedimento.
Il comma 1 dispone l’istituzione presso il Ministero di elenchi nazionali di archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, antropologi, esperti di diagnostica e di scienze e tecnologia applicate ai beni culturali, storici dell’arte, in possesso dei requisiti da individuare ai sensi del comma 2.
Non sono inclusi in questo elenco i restauratori e i collaboratori restauratori di beni culturali, poiché tali figure sono già disciplinate dalle disposizioni dell’articolo 29 e dell’articolo 182 del vigente Codice dei beni culturali e del paesaggio, come modificato dalla legge n. 7 del 2013.
In base al comma 2, le modalità e i requisiti per l’iscrizione dei professionisti negli elenchi saranno stabiliti con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, da adottare – previo parere delle Commissioni parlamentari – entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, sentito il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, d’intesa con la Conferenza Stato-regioni e con le rispettive associazioni professionali, che collaborano anche alla tenuta degli elenchi stessi.
Aggiungo che, sulla base del parere espresso dalla I Commissione, dal comma 2 è stata eliminata la previsione in base alla quale lo stesso decreto ministeriale doveva inserire tra i requisiti per l’iscrizione negli elenchi il possesso da parte dei professionisti della certificazione di conformità alla norma tecnica UNI, in considerazione del fatto che, in base alla normativa vigente, il professionista è libero di non iscriversi ad un’associazione e che la citata certificazione UNI non è obbligatoria. Si è condivisa tale valutazione e non ho difficoltà ad ammettere che, in realtà, il possesso della certificazione UNI doveva essere un requisito sufficiente per l’iscrizione negli elenchi, e non esclusivo come invece lo ha reso un testo non perfettamente formulato. Ad ogni modo, abbiamo ritenuto di espungere questo periodo, come indicato dalla I Commissione, per non creare “canali” differenziati di accesso agli elenchi e demandare totalmente al decreto l’individuazione dei requisiti per l’iscrizione.
Questo, in sintesi, il testo che sottoponiamo all’esame dell’Aula.
Siamo consapevoli che la sua approvazione non possa rappresentare la soluzione a tutti i problemi che i professionisti dei beni culturali hanno denunciato alla manifestazione di sabato scorso, a partire dagli interventi di carattere paternalistico e assistenzialista troppo spesso avanzati in questo settore.
Molto resta da fare per garantire loro buona occupazione: penso ad esempio ad interventi sulle regole generali del mercato del lavoro, che ora favoriscono il ricorso a forme contrattuali precarizzanti e a misure specifiche nella disciplina degli Appalti Pubblici che tengano conto della specificità degli interventi sui Beni Culturali; penso inoltre ad un massiccio reclutamento di professionalità nei ruoli della pubblica amministrazione e ad un forte investimento in una prospettiva di sviluppo del settore.
Ma siamo altresì certi che non può esserci piena tutela del nostro patrimonio culturale se non si valorizzano le competenze e la dignità degli specialisti che se ne prendono cura. Senza di essi la stessa sopravvivenza del nostro Patrimonio Storico-Artistico è a rischio!
Per questa ragione il riconoscimento dei profili dei professionisti dei beni culturali è il primo atto, necessario, per orientare nella direzione giusta le future politiche per il patrimonio e per la buona occupazione nel settore dei beni culturali.
On Manuela Ghizzoni
www.camera.it