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"Noi, la ricerca e gli animali", di Pietro Greco

Organizzato dalla senatrice Elena Cattaneo, domani, si terrà a Palazzo Giustiniani il secondo incontro che il Senato della Repubblica dedica a «Scienza, Innovazione e Salute». Il tema sarà: «Sperimentazione animale e diritto alla conoscenza e alla salute». Se ne discute in tutto il mondo, anche se in Italia la discussione è venata da forme inaccettabili e inquietanti di violenza verbale e non solo. Di recente ne è stata vittima, tra gli altri, Caterina Simonsen, la giovane studentessa di veterinaria portatrice di alcune malattie di origine genetica.

E come lei Silvio Garattini, il direttore dell’Istituto Mario Negri di Milano, più volte minacciato di morte; e, ultimo ma non ultimo un gruppo di ricercatori milanesi di cui sono stati pubblicati gli indirizzi con un’indicazione, appunto, inquietante: «Il boia abita qui».
Il Senato dovrà approvare o emendare una proposta di legge sulla sperimentazione animale, già passata alla Camera, che è considerata più restrittiva di quella vigente in Europa. Si tratta di un argomento molto delicato e non semplice da risolvere, perché entrano in conflitto due dimensioni nobili: il rispetto degli animali non umani e la salute, sia dell’uomo che degli animali non umani.

In nessun laboratorio scientifico al mondo degno di rispetto si pratica la «vivisezione», ovvero il dissezionamento di animali vivi, come avveniva nell’Ottocento. Anzi, provocare dolore gratuito agli animali è considerato in ogni laboratorio una pratica da denunciare e sanzionare. Dunque parlare di «vivisezione» nel caso della ricerca scientifica è del tutto improprio. I ricercatori preferiscono parlare di «sperimentazione animale», ovvero di esperimenti condotti su o con animali non umani nel rispetto delle leggi esistenti sul tratta- mento degli animali. I ricercatori fanno anche no- tare che esiste anche una «sperimentazione umana», che prevede per l’appunto la possibilità di condurre esperimenti su e con uomini nel rispetto delle leggi esistenti. In entrambi i casi il fine è migliorare la condizione umana. Ma fine della «sperimentazione animale» è, talvolta, anche quella di migliorare la condizione degli animali non umani.

Potremmo dire che la «vivisezione» è una prati- ca analoga a quella usata dai medici nazisti sugli uomini. Ed è condannata da tutti. Mentre la «sperimentazione animale» è una pratica analoga a quella realizzata su e con gli uomini in laboratori che rispettano la legge. Una delle differenze – e non è certo una differenza da poco – è che gli uomini che si sottopongono a test danno il loro consenso informato. Gli animali non umani no.

Il secondo aspetto preliminare che ci aiuta a comprendere il fenomeno della sperimentazione animale è quantitativo. Secondo la British Union for the Abolition of Vivisection, un’organizzazione britannica che si batte contro la sperimentazione animale, gli animali non umani impegnati ogni anno in ricerche di laboratorio sono, all’in- circa, 100 milioni (di cui 900mila in Italia). Sono utilizzati soprattutto per ricerche sul comportamento, in studi di genetica, in studi sull’efficacia e la tossicità dei farmaci, in studi che comportano xenotrapianti. Secondo la Royal Society, l’antica accademica scientifica inglese che è invece schierata a favore della sperimentazione anima- le regolamentata, l’85% degli animali non umani impegnati nella ricerca è costituito da roditori: topi e ratti, per lo più. Mentre meno dell’1% sono primati non umani.

LE BESTIE CHE FINISCONO A TAVOLA

Cento milioni è certamente un numero molto alto. Ma non è certo paragonabile al numero di ani- mali allevati (e uccisi) che ogni anno vengono uccisi nel mondo per motivi alimentari. Questi i nu- meri: 18 miliardi i polli (500 milioni in Italia); 2 miliardi gli ovini e i caprini; 1,6 miliardi i bovini; 1 miliardo i suini. Il calcolo a questo punto è facile: gli animali destinati a un laboratorio di ricerca sono in numero almeno 230 volte inferiore agli animali che finiscono a tavola. Sta di fatto che molti vorrebbero che negli stabulari dei ricercatori non ci fosse alcun animale. E che gli animalisti propongono due ordini di giustificazioni per questa loro idea: uno di tipo etico, l’altro di tipo scientifico. L’ordine delle motivazione etiche è a sua volta articolato, dunque faremo riferimento alle due che, non senza un certo arbitrio, consideriamo principali.

Il primo argomento etico è molto semplice e radicale: gli umani non hanno alcun diritto di utilizzare gli animali non umani per i loro fini. Né per cibarsi, né per lavoro e neppure per ricerca. Il secondo argomento etico è più articolato. Si fonda sull’assunto che gli animali, proprio come gli uomini, sono portatori di diritti. Secondo alcuni tutti gli esseri senzienti sono portatori dei medesimi diritti, assoluti e indipendenti dalla specie. Secondo altri, invece, i diritti degli animali non umani non sono uguali per tutti ma sono diversificati. I fattori di diversificazione possono essere diversi. Alcuni chiamano in causa diritti che potremmo definire filogenetici: chi ha una storia evolutiva più condivisa con gli umani è portatore di diritti più simili a quelli degli umani. Altri chiamano in causa i fattori cognitivi: chi ha capacità cognitive superiori ha diritti maggiori. In questa prospettiva i mammiferi hanno più diritti degli insetti: un topo ha più diritti di un moscerino della frutta.

Le tipologie di diritti riconosciti agli animali sono, in sostanza, due: il diritto di vivere libero nel proprio ambiente e il diritto di non subire dolore fisico o psichico a causa dell’uomo. Il dolore è ritenuto un argomento etico decisivo. Gli uomini non hanno il diritto di infliggere sofferenze di alcun tipo agli altri esseri viventi che avvertono il dolore. La dimensione etica sulla sperimentazione animale si esaurirebbe qui se non incrociasse un’altra dimensione etica, quella relativa alla salute degli uomini e anche degli animali non umani. Per cui diventa importante anche la questione strettamente scientifica.

PRO E CONTRO

La ricerca sugli animali è inutile, sostiene per esempio la British Union for the Abolition of Vivisection. Tanto più quando si tratta di sperimenta- re l’efficacia o la tossicità di un farmaco. Per il semplice motivo che gli animali non sono modelli omologhi dell’uomo. Per cui studiare un topo o anche uno scimpanzé ci dà informazioni incomplete e, talvolta, fuorvianti sulla specie sapiens. Inoltre a tutte le ricerche in vivo ci sono delle alternative già praticabili, che non richiedo l’impiego di animali non umani. Le principali sono la ricerca in vitro, sulle cellule umane; la ricerca in silica, con le simulazioni al computer. La gran parte dei ricercatori sostiene una posizione affatto diversa. La Royal Society, per esempio, sostiene che l’umanità ha tratto immensi benefici dalla ricerca scientifica che ha coinvolto animali non umani: «virtualmente tutti i risultati medici raggiunti il secolo scorso – trattamento del diabete, della leucemia e dei trapianti di cuore, scrive in un suo documento – sono stati ottenuti con ricerche che hanno coinvolto in un qualche modo gli animali». Inoltre la gran parte dei ricercatori sostiene che gli studi in vivo con le cellule e gli studi in silica vengono già effettuati. Sono gli stadi preliminari delle ricerche biomediche. Ma non sono affatto sufficienti. È proprio perché non sono sufficienti che sono ancora necessari i modelli ani- mali. Certo, deve essere condotta nel pieno rispetto delle leggi. La legge europea, sostengono i ricercatori italiani, è una buona legge. Perché dunque la legge italiana che dovrà essere discussa in Senato deve essere così restrittiva da riconoscere agli animali diritti superiori a quello che l’uomo riconosce a se stesso? Perché pretendere, per esempio, che persino per un prelievo un animale sia sottoposto ad anestesia se lo stesso trattamento non è previsto neppure per i cuccioli d’uomo, i bambini? Certo, sostengono ancora i ricercatori in gran maggioranza, occorre cercare metodi alternativi alla sperimentazione animale altrettanto efficace. Per cui fa bene l’Unione Europea a finanziare questo tipo di ricerca. Ma allo stato la ricerca che coinvolge animali è sia utile (contribuisce a salvare milioni di vite), sia scientifica- mente necessaria. Persino e forse soprattutto nel- la ricerca di base. Non avremmo mai scoperto i neuroni specchio – sostiene per esempio il neuro- scienziato Giacomo Rizzolatti che parlerà presente martedì in Senato– se non avessimo visto una scimmia nel nostro laboratorio a Parma prende- re una nocciolina imitando un uomo.

Il problema della sperimentazione animale da un punto di vista scientifico è chiaro: non se ne può fare a meno, se si intende perseguire al meglio la ricerca del benessere fisico e psichico degli uomini (e degli stessi animali). Il problema della sperimentazione animale si può risolvere sul pia- no etico – anche se ancora utile, resta inaccettabile – ma occorre assumersi la non lieve responsabilità di rinunciare a migliorare in parte significativa la vita sia degli uomini sia degli stessi animali.

L’Unità 13.01.14