Non poteva finire peggio la pessima presidenza del leghista Roberto Cota alla Regione Piemonte. Dopo lo scandalo dei rimborsi – il cui emblema resteranno le mutande verdi del Cota medesimo, pagate con i fondi pubblici destinati all’attività politica del Carroccio – il Tar ha deciso di annullare le elezioni del 2010 per le firme false di una lista Pensionati, che con i suoi 27 mila voti fu decisiva per la vittoria del centrodestra.
La Lega usa ora toni berlusconiani contro la magistratura. E minaccia di mobilitare la piazza contro la sentenza: è la logica populista, che accompagna questa de- riva lepenista e anti-sistema delle opposizioni italiane. Bisognerebbe arrabbiarsi non con la sentenza, ma con il suo drammatico ritardo. Non con i giudici, ma con le legge sbagliate o lacunose. Le firme false in Piemonte sono state accertate molti mesi fa. E Cota ha pensato di difendersi con ostruzionismi e rinvii. Comunque, è inaccettabile sul piano democratico che le firme false si ripetano a ogni latitudine e non si trovi un modo per giudicare preventivamente la legittimità delle liste. Lo stesso maggioritario di coalizione, che ispira quasi tutte le leggi elettorali regionali, dovrebbe essere rivisto quantomeno per limitare, o disincentivare, la polverizzazione delle liste minori. Sono indecenti le coalizioni con dieci, quindici li- ste, la maggior parte delle quale hanno il solo scopo di raccattare poche migliaia di voti e arrotondare così il bottino del candidato-presidente. Bisognerebbe fissare una soglia di sbarramento e impedire che le liste «sotto la soglia» portino acqua al mulino del candidato: anche perché il discutibile iper-presidenzialismo delle nostre Regioni è ormai sempre più corrotto dalla frammentazione dei gruppi consiliari, fino allo scandalo dei molteplici gruppi costituiti da un solo consigliere.
La Lega vuole fare ricorso al Consiglio di Stato. È un suo diritto. Ma sarebbe grave se l’obiettivo non fosse quello di ottenere un rapido e definitivo giudizio, ben- sì di prolungare l’ostruzionismo dei mesi passati. Il rischio è che la già scarsa credibilità delle istituzioni venga travolta e che si cancelli così anche la speranza di un rinnovamento. Leghisti e berlusconiani avrebbero potuto accelerare lo sciogli- mento del consiglio regionale dopo lo scandalo dei rimborsi: non ci sarebbe sta-a la sentenza del Tar e il centrodestra si sarebbe presentato agli elettori del Pie- monte con un’ammissione di colpa, ma anche con una credenziale. Adesso invece l’alleanza Forza Italia-Lega è spinta ancor più sulla direttrice anti-istituziona- le: competerà con Grillo nel delegittima- re ogni cosa, e la campagna anti-euro amplificherà lo scontro con effetti che al mo- mento è persino difficile immaginare.
Per il Pd e per la sinistra la sfida del Piemonte sarà molto importante. Il Pie- monte è una delle tre grandi Regioni del Nord: la vittoria di misura del 2010 garantì un’area di resistenza al centrodestra, pur in una stagione dove ormai erano evidenti i segni del declino di Berlusconi. Senza una vittoria significativa al Nord non si può governare l’Italia con il consenso e la legittimazione necessaria. Per questo le elezioni di primavera saranno per la segreteria di Renzi un banco di pro- va cruciale, assai più di quanto non si potesse immaginare alcuni mesi fa. Le probabili elezioni in Piemonte, unite alle europee di maggio, comporranno una tornata politicamente decisiva anche se il rinnovo del Parlamento dovesse avvenire, come si augura Letta, nel marzo del 2015.
Matteo Renzi ha deciso di ricandidarsi a Firenze. Ma, al di là delle tante elezioni amministrative, è altrove che il nuovo Pd si gioca una parte vitale del suo progetto. Anzitutto se lo gioca alle europee, il cui segno rischia di cambiare proprio a causa della rincorsa anti-euro di Grillo, di Berlusconi e della Lega. Il Cavaliere offre patti a Renzi sulla riforma elettorale, ma in cambio vuole l’anticipo delle politiche al 2014. Se Renzi lo riaccreditasse come interlocutore, forse Berlusconi potrebbe lasciare alla Lega (e a Grillo) l’insegui- mento di Le Pen. Senza elezioni immediate, invece, Forza Italia userà l’anti-europeismo come arma contro il governo Letta, contro il Pd e contro il «traditore» Alfano. Per il Pd la battaglia delle europee sarà perciò durissima, e inedita nella sua pericolosità.
Ma non sarà da meno la sfida del Pie- monte. Una sfida in quel Nord, che per il centrosinistra è sempre stato ostico nel ventennio passato. Il Pd ha un vantaggio, disponendo già di un candidato forte e autorevole. È Sergio Chiamparino, 65 anni, già sindaco di Torino e oggi presidente dell’Istituto San Paolo: per fortuna, il criterio del merito stavolta sembra prevalere sulla meccanica della rottamazione anagrafica. C’è anche da dire che il Piemonte è, nel Nord, la Regione dove il radicamento della sinistra è storicamente più forte e dove i governi riformisti delle città hanno prodotto risultati apprezzati. Ma nulla è scontato in questo clima, con una crisi che dilania la società e il tessuto produttivo, con una politica che fatica a ricostruire un equilibrio nelle istituzioni, con la destra che reagisce al proprio fallimento ricorrendo al populismo anziché aprendosi a un rinnovamento. Nella partita il Pd uscito dalle primarie dovrà dimostrare chi è davvero e cosa vale, oltre all’indubbia forza comunicativa del suo leader. Si metterà alla prova la sua innovazione, la sua idea di un nuovo sviluppo, ma anche il suo europeismo e la capacità di declinare in chiave di modernità i valori della sinistra. Senza una corposità sociale, non sarà comunque una brillante strategia di marketing a dare risposte a una società in sofferenza.
L’Unità 11.01.14