Che le grandi coalizioni siano un terreno fertile per i populismi, non è una scoperta di Le Monde. È storicamente accertato che le forze antisistema proliferano, con lo stile dell’antipolitica, in presenza di un governo di larghe intese. Proprio in rivolta contro le ammucchiate partitocratiche, che nel dopoguerra vedevano insieme la Dc e il Pci, in Italia nacque il movimento populista del commediografo Giannini.
Tornato in scena il grande conflitto politico, con la cacciata delle sinistre dall’esecutivo, la frattura dell’Uomo Qualunque fu subito riassorbita dalla Dc. Era necessario recuperare delle truppe fresche per l’edificazione degasperiana della diga contro il comunismo minaccioso dopo le forche di Praga. E i qualunquisti furono reclutati in fretta.
Anche il secondo populismo, quello raccolto con notevole abilità dal comico Grillo, non avrebbe sfondato così facilmente nel corpo elettorale, sino a diventare dal nulla il primo partito, senza il quadro favorevole fornito dalla sospensione del conflitto politico. Con il varo del governo dei tecnici, appoggiato dalla strana maggioranza Pd-Pdl, divenne propizia l’occasione per l’insorgenza di un nuovo e dirompente movimento antisistema capace di rompere gli argini abituali.
Quindi un nesso tra populismo e larghe intese esiste. In Austria e in Italia (in parte pure in Grecia, dove però la coalizione tra conservatori e socialisti durò solo 5 mesi prima delle elezioni del 2012, che portarono Alba Dorata in parlamento) l’inferenza è confermata e in termini trasparenti. Però, vista sul più ampio terreno comparato, la questione appare assai più complessa rispetto al quadro di Le Monde. La Germania è un sistema politico in cui il populismo è contenuto nella sua travolgente espansione elettorale, e dove un soggetto antipolitico non è ancora riuscito a penetrare (seppure per un soffio) in parlamento. Eppure la Germania è il sistema delle larghe intese come rimedio in fasi di emergenza e di ingovernabilità, ed è stata appena varata la terza esperienza di grande coalizione (la seconda nel giro di pochi anni).
Certo, l’Spd è stata amputata dalla precedente fase di coabitazione con il centro democristiano, precipitando al suo minimo storico (22 per cento) e smarrendo in maniera pesante il suo profilo di grande partito operaio e di affidabile garante della giustizia sociale. Però il volto di un populismo di destra che si fa largo tra le muraglie delle grandi coalizioni non appare nitido in Germania, anche per la capacità di tenuta complessiva del sistema di partito e per la presenza di una sinistra radicale in grado di canalizzare il disagio e la protesta che è ancora forte nelle aree dell’est.
Il problema analitico principale, che stranamente Le Monde trascura del tutto, è racchiuso proprio nel caso francese. La Quinta Repubblica è una nemica giurata delle larghe intese. Eppure, malgrado la secca dialettica bipolare destra-sinistra che vi domina, proprio in Francia, e da un trentennio ormai, esiste il più significativo partito populista carismatico, quello di Le Pen (padre e ora figlia), stimato peraltro dai sondaggi in preoccupante ascesa per la prossima tornata europea.
Se è vero che le grandi intese tra destra e sinistra appannano i sistemi ideologici e solleticano istinti di rivolta contro le omologate caste al potere, non è però adeguata una spiegazione del voto antisistema condotta solo nei termini di una meccanica competitiva oscurata e quindi occasione di diffuso risentimento. Il vero lievito dei populismi è rappresentato dall’usura storica di un modello trentennale di democrazia in grado di coniugare crescita e diritti sociali e quindi di esprimere una politica strutturata con partiti di massa dotati di ideologie e di organizzazioni solide per l’integrazione. Questo antico mondo perduto costringe la politica europea alla difficile impresa di convivere con lo Stato di austerità permanente e con partiti che, ormai privi di ideologia legittimante, perdono la capacità di mobilitazione e rappresentanza dei ceti operai e popolari, divenuti sempre più sensibili ai richiami dei conflitti di cultura (sull’immigrazione), di legalità (sulla corruzione). I partiti populisti, ovunque riescano ad insediarsi, diventano il primo partito operaio.
Se il ripristino di una esplicita polarità destra-sinistra è la condizione minimale per sterilizzare la forza d’urto del populismo, questa riesumazione del normale gioco dell’alternanza è tuttavia sterile senza un ripensamento delle idealità della sinistra europea. Percepita ovunque come una tradizione ormai integrata anch’essa nel paradigma dominante del liberismo, la sinistra ha dinanzi a sé il compito di recuperare una aggiornata capacità di critica ideale del capitalismo e un ruolo di progettualità politica. Altrimenti il laboratorio europeo è solo un lontano ricordo.
L’UNità 10.01.13