Dopo anni di retorica europeista è arrivato un generalizzato risentimento anti-europeo, perché la dura realtà sociale ed economica viene da molti imputata univocamente «all’Europa» o a «Bruxelles». Le elezioni europee ci piomberanno addosso interamente strumentalizzate in questo senso e si sovrapporranno fatalmente alle elezioni italiane. Sintomatica è la mossa di Forza Italia, disposta a trattare le proposte elettorali di Renzi solo a patto che si arrivi ad un election day che faccia coincidere le consultazioni nazionali con quelle europee. E’ una mossa insidiosa. La possibilità di sfruttare tempestivamente il crescente malumore anti-europeo porterà Berlusconi a non insistere troppo sui dettagli del nuovo sistema elettorale – pur di sfruttare l’occasione a proprio vantaggio. In questa direzione si muoverà lo stesso Grillo dietro la cortina fumogena delle sue aggressive esternazioni.
Il Pd è molto debole sulle questioni europee. Renzi ribadisce genericamente la possibilità di «sforare il vincolo del 3% del rapporto tra deficit e Pil» come se fosse una bazzecola. Sulla politica dell’euro, sul ruolo delle istituzioni europee si sentono solo affermazioni benevolmente generiche. Come pure sulla Germania, la nazione che di fatto è in grado di determinare l’orientamento europeo. In proposito Renzi non ha mai detto nulla di significativo e soprattutto di comunicativamente efficace – come ci si attenderebbe dal suo stile mediatico. In realtà sull’Europa e sulla Germania non si possono fare battute. Occorre un discorso articolato e convincente per l’elettorato del Pd che è molto perplesso. Non mi è chiaro se Renzi è in grado di farlo.
Nell’area di maggioranza, tutte le proposte avanzate per rimettere in moto la politica e l’economia nazionale danno per acquisito e immutabile il quadro contestuale europeo così come è oggi, con i suoi vincoli. In questa ottica si muove il governo di Enrico Letta preoccupato innanzitutto di dimostrare la sua lealtà europea. Dopo le contraddittorie e velleitarie mosse dell’ultimo Mario Monti, travolto poi dai suoi stessi errori, l’Italia non ha una linea profilata e attiva sulle questioni europee. Per la stampa tedesca l’unico «italiano» che conta è Mario Draghi alla guida della Banca centrale europea. Ma lo scrive con ambivalenza.
Sin tanto che le cose staranno così, l’Italia non uscirà mai dalla sua posizione marginale sulle questioni europee. Manca un discorso pubblico adeguato. Su questo punto l’offensiva comunicativa di Renzi è assente. Ma non può non sapere che l’anti-europeismo (comunque declinato) sarà uno dei motivi dominanti della prossima campagna elettorale.
Essere anti-europei oggi è sin troppo facile, mentre ribadire le ragioni dell’Unione europea è diventato molto impegnativo, perché non può coincidere con la semplice accettazione dello status quo. Anche i critici più benevoli non possono negare che sono emersi «errori di costruzione», in parte risalenti agli stessi Trattati di Maastricht che esigono di essere corretti – senza sfasciare tutto come temono i tedeschi.
Occorre reinterpretare criticamente la fortunata affermazione di Angela Merkel, con la quale la cancelliera ha vinto le ultime elezioni tedesche e continua a condizionare i partner europei – «se fallisce l’euro, fallisce l’Europa». E’ una tesi efficace che ha tuttavia il sottinteso non detto che l’euro di cui parla la Merkel, l’euro che non deve fallire, è quello che segue puntigliosamente le regole, le norme e i vincoli che hanno funzionato sinora. Esasperano le differenze, anziché promuovere convergenze solidali – come era stata la promessa della moneta unica. Ostacolano ogni proposta correttiva e soprattutto ogni forma di allentamento del cosiddetto «rigore» (eurobonds, iniziative sospette della Bce ecc.) con il ricatto che altrimenti tutto si sfascia.
Su tutto questo vigila la Germania della cancelliera Merkel che, preservando legittimamente il suo efficiente sistema produttivo, gode di uno straordinario consenso popolare e del sostegno delle sue autorevoli istituzioni (dalla Corte costituzionale alla Bundesbank). La Germania oggi è un’autentica fortezza democraticamente fondata. Contro questo paradosso non sta in piedi nessuna facile demagogia anti-tedesca.
E’ in grado Renzi di affrontare questa problematica e di spiegarla agli elettori del Pd? A questo proposito il partito democratico potrebbe fruttuosamente stabilire rapporti di lavoro con la socialdemocrazia tedesca, che con la formazione della Grande Coalizione ha conquistato una posizione molto importante. Certo: la coalizione guidata dalla cancelliera Merkel è fondata sullo «scambio politico» per cui la Spd può dedicarsi alla realizzazione di una coraggiosa politica sociale interna purché non interferisca con la linea politica del rigore per quanto riguarda l’Europa e «la difesa dell’euro», nel senso appunto inteso dalla Merkel. Ma molti socialdemocratici nutrono forti critiche verso questa linea. Condividono molte idee e proposte che possono essere sostenute anche dal Pd: dal «fondo salva-stati» dotato di maggiori poteri e ancorato al Parlamento europeo, a modifiche dello statuto Bce perché si avvicini al modello della Federal Reseve americana, e altre proposte in tema di fiscalità, riforma bancaria ecc.
Ma al di là delle singole proposte, occorre ricreare convergenze tra le grandi forze progressiste europee per uscire dallo stallo politico in cui si è cacciata l’Unione europea. Scongiurare che il prossimo Parlamento europeo venga paralizzato dalla presenza chiassosa e irresponsabile di forze ostili alla rifondazione di un’Europa che ha il coraggio di apprendere dagli errori che hanno portato alla sua crisi attuale.
La Stampa 05.01.14