Forse un po’ in sordina, senza riferimenti espliciti, ma ieri è di fatto partita la lunga campagna elettorale che attende il Paese. Lunga perché probabilmente durerà più di un anno. Ma avrà diverse tappe fondamentali. A cominciare da quella del voto europeo del maggio prossimo. Ed è a quell’appuntamento che bisogna guardare per capire cosa sta succedendo nei partiti e nel governo in questi primi giorni del 2014. Compresa la mossa di Matteo Renzi.
Il simbolo virtuale che ha accompagnato la sua ascesa alla guida del Pd è stata la “rottamazione”. L’ha usata per sconfiggere la vecchia classe dirigente del centrosinistra. Lo ha fatto intercettando un vento che soffiava da tempo nel Paese e nell’elettorato progressista. Ma proprio perché risponde a un’esigenza ormai radicata, il concetto di “rottamazione” a questo punto non può essere solo associato alla crescita di un nuovo gruppo di comando dentro il Partito democratico. Si tratta di archiviare anche alcune procedure e liturgie che hanno caratterizzato la prima e in parte la seconda Repubblica. Soprattutto la lentezza nell’assumere decisioni.
Le proposte avanzate ieri dal leader pd rispondono esattamente a questa necessità. Ha bisogno di distinguersi e soprattutto di non farsi avviluppare nel consolidato cerimoniale della politica. L’idea di essere fagocitato in un tavolo di trattative, in estenuanti vertici di maggioranza o in gruppi tematici, per Renzi equivale a perdere la carica e l’immagine innovativa conquistata nell’ultimo anno. Significa anche disperdere la potenziale attrazione di elettori che in passato non hanno votato per il centrosinistra. Il sindaco fiorentino in una parola teme di essere “omogeneizzato” con chi viene percepito come l’ultimo anello di congiunzione con il passato. E allora gioca d’anticipo, scompagina il libro della sua coalizione in continuazione. «Se non lo faccio — ripete spesso — gli altri mi bloccano con le catene».
Per questo ieri ha forzato i tempi. Ha messo sul tavolo sia la riforma elettorale, sia la nuova agenda del governo per uscire da un solco già scavato da altri. Per la prima volta da molto tempo un leader del centrosinistra riesce a imporre l’agenda del confronto politico come riusciva a fare Silvio Berlusconi anche nei passaggi più difficili e complicati. Ma è evidente che rischia di essere anche un gioco pericoloso. La ricerca della discontinuità, se viene sistematicamente sterilizzata, può diventare un paradosso. E in più contiene il rischio di uno scontro endemico con Enrico Letta.
Al di là dei formali convenevoli, il rapporto tra i due non è affatto sereno. Non si fidano. Il premier teme che le scosse assestate alla sua coalizione possano portare allo schianto finale. O comunque compromettere la sua immagine a favore, appunto, di quella del segretario in una sorta di mors tua vita mea.
Senza contare che il presidente del consiglio accusa il nuovo segretario democratico di non riconoscergli il merito di aver pilotato l’uscita di scena di Berlusconi. Senza scontri frontali, ma con un risultato effettivo.
Renzi, al contrario, sospetta il tentativo del capo del governo di allungare i tempi di ogni scelta per garantire la sopravvivenza dell’esecutivo. Vede nell’azione di Letta un disegno volto a blindare la strana maggioranza delle larghe intese anche in assenza di obiettivi realmente conseguiti. O, peggio, nella volontaria stagnazione finalizzata a non turbare il difficile e precario equilibrio raggiunto.
Questa partita adesso entra nel vivo. Non si tratta solo di approvare finalmente una legge elettorale decente o di siglare un nuovo patto di governo magari ufficializzandolo con un rimpasto di ministri. Il punto è che ieri lo sguardo si è improvvisamente rivolto alle date della campagna elettorale. Nella quale il concorrente che ha più da perdere è proprio Renzi. Prima del voto politico, ci sono almeno due tappe che possono rivelarsi esiziali per il leader pd. A maggio, se come sembra non si scioglierà il Parlamento in primavera, i cittadini saranno chiamati a eleggere il Parlamento europeo. La legge proporzionale prevista per Strasburgo offrirà una precisa fotografia dei rapporti di forza tra i partiti. E se il Partito democratico dovesse ridurre i suoi consensi, la colpa ricadrebbe solo ed esclusivamente sul neosegretario. Stesso discorso, anche se in misura ridotta, per le amministrative di primavera e per le elezioni in Sardegna del prossimo febbraio (Walter Veltroni si dimise dopo la sconfitta di Soru). Il sindaco ha quindi bisogno di spendere subito qualche risultato. La riforma del Porcellum, l’avvio dell’abolizione del Senato e un’agenda per l’esecutivo più efficace. Tutto questo gli serve entro il 25 maggio. Farsi paralizzare in questa prima parte del 2014 è per lui molto più pericoloso che non aspettare il ritorno al voto politico nel 2015.
Anzi, Renzi si è in parte convinto che accorpare europee e politiche a maggio non rappresenta più una soluzione praticabile. Ha scelto di evitare lo scontro frontale con Napolitano confermandogli la sua intenzione di sostenere il governo Letta. Ma deve esigere dall’esecutivo una road map stringente. Altrimenti in pochi mesi la forza del cambiamento si sarà già esaurita.
La Repubblica 03.01.14