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"Femminismo 4.0", di Elena Stancanelli

Inclusivo, cioè aperto anche agli uomini, e collaborativo. Sono queste le due novità del femminismo di ultima generazione, scrive Kira Cochrane sul quotidiano britannico Guardian. Che si interroga sulla sessualizzazione dei messaggi mediatici, la pornografia estetica, l’incremento della violenza sulla donne. La cosiddetta “cultura dello stupro”, spiegata con precisione in un bel saggio uscito un paio di anni fa, Bambole viventi, di Natasha Walter.
Questo femminismo, che la scrittrice chiama di quarta generazione (scrive wave, ondata, riprendendo una definizione di Rebecca Walker e Maggie Humm), sceglie quindi di abbandonare il principio del separatismo, teorizzato intorno agli anni Ottanta come pratica necessaria alla riflessione libera delle donne. Le nuove battaglie si combattono da entrambi i lati, con l’appoggio ideologico e tattico degli uomini. Così come il fronte dei diritti, spiega Cochrane in un istant book intitolato
All the rebel women, deve essere allargato fino a comprendere qualsiasi minoranza intersecabile con il femminile e in attesa di vedersi riconosciuta: lesbiche, transessuali, nere.
Un esempio di questa tendenza è il movimento One billion rising, promosso da Eve Ensler (l’autrice dei celeberrimi “Monologhi della vagina”) che si propone di unire donne di ogni parte del pianeta, decise a ottenere giustizia su vari fronti. Il 14 febbraio prossimo, così come l’anno scorso nella stessa data, è previsto un flash mob mondiale, con danze e canti.
La prima ondata di femminismo, lo sappiamo, nasce dalle lotte delle suffragette gli inizi del secolo scorso. Ha una data di inizio: il 4 giugno 1913. Giorno in cui Emily Wilding Davison fu uccisa dalla polizia mentre manifestava per il diritto di voto. Dopo le due guerre arriva la seconda ondata. A partire dalla pubblicazione de
Il secondo sesso di Simone de Beauvoir. Controllo delle nascite, aborto, riconoscimenti civili e giuridici sono le questioni, ma anche l’analisi e l’identificazione dei modelli femminili in corso, possibili e impossibili: sposa, madre, prostituta, lesbica, narcisista, innamorata.
Nel 1963 esce La mistica della femminilità di Betty Friedan. E mentre si discute di ruoli e opportunità in America viene messa in commercio la pillola anticoncezionale. Sesso, maternità, matrimonio: tutto cambia. E intanto si discute sulla legge che consenta l’interruzione di gravidanza. In Italia viene approvata il 22 maggio 1978. Da adesso in poi, sulla strada dei diritti delle donne, il corpo acquisisce un ruolo strategico,
come strumento di emancipazione e come spazio violato, aggredito, contrattato. Nel 1970 Germaine Greer pubblica
L’eunuco femmina e raduna intorno a sé il cosiddetto femminismo radicale: Kate Miller, Anne Koedt, Shulamith Firestone. Quest’ultima, meno nota in Italia, era nata in Canada nel 1945. E’ l’autrice de La dialettica dei sessi,
il saggio nel quale si sostiene che nemica della donna è la natura, che ci ha creato schiave, e nostre alleate sono invece scienza e tecnologia: solo la cultura ci renderà libere. Shulamith Firestone è morta nell’agosto 2012. La
ricorda in un bellissimo articolo sul New Yorker Susan Faludi. Che a sua volta pubblica nel 1991 un libro che segna un passaggio, Contrattacco. La guerra non dichiarata contro le donne.
Da qui in poi entriamo nella terza ondata. Sono gli anni delle Riots girls, delle Spice Girls, delle punk band femminili. Sono anni nei quali, come scrive Faludi, si raccolgono i frutti di quello che è stato un vero e proprio attacco alle conquiste delle donne, messo in atto surrettiziamente nel precedente decennio. Racconta che l’idea per questo libro le venne leggendo un articolo di
Newsweek nel quale si diceva che una donna laureata di trent’anni aveva «migliori possibilità di restare vittima di un attacco terroristico che non di sposarsi». Un’affermazione tendenziosa, e anche falsa, scrive Faludi, pensata per insinuare il sospetto che la liberazione femminile porti con sé una perdita di femminilità. E’ arrivato, scrive Faludi, il momento di contrattaccare. Forse è proprio questo lo snodo cruciale, quello in cui si inasprisce il conflitto, si sfuocano le identità maschili e femminili secondo le definizioni tradizionali. Entra il crisi il maschio, si dice, e da questa crisi nasce una recrudescenza di irrazionalità, che comprende rabbia e violenza.
A questa crisi risponde quello che Kira Cochrane identifica come quarta ondata del femminismo. Che, ovviamente, cresce intorno alla rete. Con alcuni siti strategici, come Fworld, Jezebel o Charge.org, il sito delle attiviste sudafricane. Ma anche in opposizione, mettendo in evidenza le forzature, i pericoli. Le immagini rubate che finiscono esposte sul web, i ragazzini travolti dalla maldicenza sui social. Le donne ballano, cantano, scrivono, combattono. Alcune usano la comicità, come Nadia Kamil, altre le rubriche sui giornali, come Caitlin
Moran. Le femministe islandesi, per arginare l’invasione dei club di strip-tease, hanno aperto alcuni locali dove gli uomini pagano per guardare donne che cantano, ballano e raccontano storie.
E gli uomini che fanno? Qualche giorno fa Christian Raimo ha scritto in un articolo interessante sul quotidiano
Europa che mancano i modelli maschili utili, c’è un spostamento dello scontro dal pubblico al privato, ma soprattutto è saltata la capacità si simbolizzare la rabbia e il conflitto. Il fallimento, scrive Raimo, è quindi sia sul piano pratico che su quello linguistico.
Se davvero, come scrive Kira Cochrane, questa quarta ondata di femminismo è e sarà inclusiva, avremo finalmente la possibilità di ottenere un affresco completo, una visione d’insieme che ridefinisca termini e questioni. Specie su battaglie complicate come per esempio quella contro il femminicidio. Nella speranza che si inauguri una reciprocità, e che i maschi imparino a loro volta a essere inclusivi su temi ritenuti fino a oggi inspiegabilmente solo maschili.

La Repubblica 02.01.14