È impegnatissimo, neanche fosse candidato alla segreteria del Pd. Fabrizio Barca, neotesserato Pd, gira il territorio, apre contatti, crea gruppi di lavoro e sulla sua pagina web ( www.fabrizio- barca.it) ha lanciato la campagna «I luoghi idea(li)», sei o sette progetti per il territorio, con tanto di raccolta fondi, moduli di domanda (richiesta di cose materiali che arrivano dal territorio) e offerta (competenze, disponibilità di tempo e movimento pre realizzarle) per «dare finalmente una risposta concreta alle persone, restituire fiducia e far sì che il Pd faccia delle cose là dove servono». E in pochi giorni, la campagna è partita il 2 dicembre scorso, è stato raggiunto il 75% dell’obiettivo, cioè quei 40mila euro, oltre alle competenze, necessari per i luoghi ideali a cui pensa l’ex ministro. Dice che il suo impegno nel partito lo vede così, in mezzo alla gente, tanto che con- divide la voglia del neosegretario di non «romanizzarsi», di non farsi risucchiare dalle logiche della politica di palazzo che hanno mangiato e volatizzato energie e entusiasmo in tanti potenziali leader.
Barca, partiamo da Enrico Letta. Renzi e il Pd gli chiedono un cambio di passo. Secondo lei ci sono le condizioni politiche, con il Ncd?
«Assolutamente sì, d’altra parte è quello che hanno chiesto i tre milioni di persone che sono andate a votare il segretario del Pd. Hanno chiesto che il partito facesse sentire la sua presenza al governo che fino ad allora si era sentita poco. Si tratta, in sostanza, dell’attuazione di un mandato, un dovere del Pd di mettere mano alle due questioni più impellenti: la legge elettorale, per ricreare un rapporto fiduciario tra noi e gli eletti, e la ripresa di un ciclo economico che ci aiuti a uscire dal pantano». Lei pone due questioni su cui Pd e Ncd hanno posizioni diverse. Crede che sia possibile arrivare ad un accordo con Alfano sulla legge elettorale?
«Noi dobbiamo imparare a chiedere molto senza chiedere troppo. Non possiamo chiedere, ad esempio, un patto alla tedesca perché le condizioni qui sono diverse: in Germania è un patto tra partiti con una forte base comune, in Italia è diverso, Pd e Ncd possono solo fare un accordo di brevissimo periodo. Se ci aspettiamo altro si può restare delusi e le delusioni rende furibondi. Anche sulla legge elettorale non possiamo cercare un’alchimia per la governabilità perché la distanza tra i due partiti è altissima, se invece puntiamo a trovare un sistema uninominale in cui gli elettori scelgono i propri rappresentanti pretendendo poi una presenza effettiva dei parlamentari sul territorio, allora l’accordo è possibile».
Il lavoro è un altro punto di lontananza. Renzi propone il job act con il contratto unico, Alfano pensa a zero controlli da parte dello Stato per chiunque voglia avviare un’attività. Si può arrivare a qualcosa di concreto?
«Anche in questo caso penso che non si possa chiedere troppo a un governo di breve vita. Il contratto unico di cui parla Renzi, però, è un’idea interessante e mi auguro che vada avanti, che continui a lavorarci. Ma nello spirito della concretezza è necessario, da subito, un presidio dell’Aspi, il sussidio unico di disoccupazione introdotto dal governo Monti. Come sta andando? È una misura che funziona? È importante prima di inserire nuovi provvedimenti ca- pire come funzionano quelli già esistenti. In Germania quando si è riformato il mercato del lavoro lo si è fatto in tre stadi, monitorando di volta in volta i cambiamenti introdotti. Infine, dobbiamo sapere che non c’è alcun intervento sul mercato del lavoro che dia il via alla ripresa perché la crisi in atto è una crisi di domanda, di idee, di imprese che non investono e cittadini che non consumano».
Quindi come se ne esce?
«Da tempo sostengo che la più impor- tante iniezione di domanda sarebbe un grande intervento finanziario a fa- vore della cura dell’infanzia, degli anziani non autosufficienti e dell’assistenza integrata domiciliare agli anziani. Sono misure che da un lato consentirebbero il presidio di due aspetti della vita quotidiana di migliaia e migliaia di famiglie italiane in difficoltà, dall’altro attiverebbero molto lavoro, a differenza di tante inutili ricette che ho sentito in questi ultimi mesi».
Il rimpasto di governo è necessario per la svolta, o come sostiene Renzi è una vecchia pratica da Prima Repubblica? «Mi fa molto piacere che Renzi l’abbia definito in questo modo. Condivido questa sua lettura».
Che pensa di questo Pd a guida Renzi con una classe dirigente completamente rinnovata?
«Per ora noto un fatto importante, la scelta di una segreteria maturata in po- che ore e che ha messo in prima linea una generazione di trentenni. È un’operazione non nuova in Italia, accadde già con Bettino Craxi alla fine degli anni Settanta, anche se quell’operazione, che ebbe momenti positivi, poi finì male. Nel caso di Renzi credo, invece, che già in primavera, se lasceremo lavorare questi ragazzi, avremo delle belle sorprese».
Giovani che chiedono molto, soprattutto a Letta. Secondo lei con questo nuovo Pd il governo avrà vita breve?
«Se entro la fine di gennaio il governo trova la giusta misura, quattro o cinque interventi incisivi da realizzare in tempi brevissimi, l’obiettivo del 2015 non mi sembra impossibile. Ma è chiaro che i cittadini devono toccare con mano il peso della spinta del Pd sul governo».
Cosa consiglierebbe al neosegretario per non deludere i suoi elettori?
«Di tradurre il suo radicamento territoriale e la sua ambizione di non romanizzarsi, in un’attenzione ai problemi che dai territori vengono sollevati. E a non cadere nella trappola che già vedo in agguato leggendo alcuni commenti sui quotidiani. Questa contrapposizione tra carisma, squadra e partito diffuso è ridicola. Serve carisma, serve una squadra e serve un partito radicato sul territorio. Chi cerca di introdurre una contrapposizione vuole male al Pd e vuole far fuori Renzi. Credo che il segretario abbia ben presente questa manovra».
L’Unità 30.12.13