Morte e mutazione del lavoratore intermedio. Il futuro non lascia scampo ai general-generici, ai tuttofare, ai travet, ai di tutto un po’. Il mercato del lavoro si sta reggendo su una irresistibile polarizzazione: al vertice della piramide le professioni eccellenti, i progettisti, i decisori, gli innovatori; alla base, gli esecutivi, gli accuditivi, le ancelle dei lavori di cura, di assistenza, di ordinaria manutenzione, di pulizia, che molti non vorranno più fare.
Così nell’arco di un decennio, la piramide del lavoro si trasforma sempre di più in una clessidra, dentro la quale dovremo decidere dove stare. Nella parte superiore si noteranno esclusivamente white collar e abili prestigiatori delle nuove tecnologie. Troveremo architetti digitali, bioingegneri, terapisti di nanotecnologie, analisti simbolici, broker del tempo, ingegneri delle informazioni, detective delle catastrofi. In un mondo sempre meno prevedibile, sono già all’opera i costruttori di algoritmi e i disaster manager. Nella complessità crescente troveranno spazio gli specialisti di chaos management e di shock economy.
Nelle professioni aziendali gli ottimizzatori e i consolidatori lasceranno il posto agli innovatori e ai team leader. Salute, scienze della vita, ambiente, da soli rappresenteranno la fetta maggioritaria della torta professionale. Il clima, l’inquinamento, la produzione di rifiuti, le sofisticazioni alimentari saranno i datori di lavoro di un esercito di nuovi strateghi e terapeuti, molti dei quali oggi non conosciamo ancora per i loro titoli professionali, mentre balbettiamo di nano-tecnologi, geo-microbiologi e body maker, fabbricatori di parti di ricambio del corpo umano, oltre che di terapisti della memoria.
Il web coronerà il trionfo della sua pervasività. Tutto il lavoro sarà web e cloud. A cominciare dai superman dei viaggi spaziali fino agli specialisti e ai tecnici delle stampanti in 3D, da cui usciranno gli oggetti che ci piacciono e che forse ci servono. Nel lavoro dei campi ci saranno solo agricoltori digitali, le nuove energie vedranno il trionfo degli energy manager, le scorie e gli avanzi faranno sorgere gli spazzini digitali, gli smaltitori di rifiuti pericolosi e i riciclatori di tecnologie.
Nella parte inferiore della clessidra ci saranno i paria e gli orfani delle professioni strategiche e progettuali, i manovali dell’esecuzione, la quale dovrà cambiare, attrezzandosi di tecnologie umane, qualità e senso del servizio. Dalle attività di cura alla ristorazione, dal giardinaggio agli accompagnatori del tempo libero, dai cuochi, ai braccianti, ai camerieri, ai manovali, alle assistenti di supermercato (cassiere e commessi tendono a scomparire, grazie alla tracciabilità e ai sistemi elettronici fai da te), si apriranno varchi per addetti imprenditivi, non schizzinosi, passivi o fannulloni.
Tutti si salveranno solo puntando sulla competenza, sul web, sulle lingue ma anche sulla manualità. Sì, perché in un mondo sempre più virtuale, serviranno concreti problem solver della complessità e degli imprevisti. Esaurita la stagione dei pianificatori, servono risolutori eclettici di problemi pratici. Qui il serbatoio di riparatori, ricostruttori, riciclatori, restauratori, orlatori, rammendatori della vita quotidiana, oggi in estinzione, sta riempiendosi di nuovo, perché l’usa e getta del consumismo lascerà il posto al tieni e rattoppa, agli aggiustatutto della ritrovata sobrietà.
Per il Dna del nostro Paese, il ritorno all’intelligenza della mano non dovrebbe incontrare resistenze, se si superano i pregiudizi. I neo-artigiani indicano la direzione: l’unione dell’homo faber con il web sta sfornando artigiani digitali che dialogano con il mondo. Due professioni note saranno al vertice della domanda di lavoro per i prossimi trent’anni: l’infermiere e l’insegnante, i cui attrezzi, competenze e vocazioni muteranno.
Serviranno vestali dell’educazione, sanitaria e intellettuale. Dovremo solo decidere di pagarle di più, altrimenti resteranno troppi posti vacanti. Che non potranno fortunatamente essere occupati dai cattivi maestri della finanza, caduti in disgrazia e schiacciati nella parte più stretta della clessidra, metafora del tempo, la risorsa più scarsa che abbiamo.
La Stampa